Sunday, September 27, 2009

Lezioni di lingua tedesca


Avvertenza: questo post contiene disquisizioni di carattere puramente grammaticale che riuscirebbero a causare un'occlusione intestinale ad un cadavere e che, quindi, potrebbero farvi rimpiangere la buona vecchia scuola dell'obbligo.


Come ho già avuto modo di accennare, la Tedeschia sembra essere costantemente invasa da Germanesi e, quindi, risulta necessario l'apprendimento del Germanico, la loro lingua madre.
Diciamocelo: di primo acchito può sembrare una lingua cazzuta. Poi, piano piano, quando si inizia a studiarla seriamente, si frequentano delle lezioni, si comincia a proferire qualche parola, si comprende appieno la cazzutaggine di tale idioma. Se il latino ha prematuramente lasciato questo mondo a causa della sua complessità e delle sue declinazioni, non mi spiego come il Germanico sia riuscito a sopravvivergli. Qui si declina di tutto e di più: i verbi, gli aggettivi, gli articoli, i pronomi. A seconda dei casi (nominativo, accusativo, genitivo, dativo) il verbo, aggettivo, articolo o pronome subisce una variazione minimale, ma che è sufficiente a mandarti in completa confusione. Non solo, ci sono una infinità di particelle che attaccate al verbo gli fanno cambiare significato e che all’interno delle frasi un po’ più complesse si muovono a destra ed a manca senza ritegno alcuno né rispetto per chicchessia. Ad esempio? Il verbo “machen” (fare). Bello, mi piace. Ma se ci aggiungo “zu” (zumachen) mi diventa “chiudere”, se ci metto un bell’ “auf” (aufmachen) vuole dire “aprire” e con uno splendido “aus” (ausmachen) diventa “spegnere”. Inoltre queste particelle possono essere messe attaccate al verbo o alla fine della frase, cambiando ovviamente il significato del verbo stesso! Ma non è ancora finita, per dire aprire si usa anche “öffnen” e per chiudere si usa il buon vecchio “schließen”, mica vorremmo correre il rischio di fare confusione, no?
Suona terribilmente complicato? Aspettate di leggere il resto.


Ci sono quattro lettere di cui il buon vecchio idioma Germanico va tutto fiero, un po’ come lo spagnolo va fiero della sua ñ:
“ö” si pronuncia come nel nostro varesotto, una bella “o” chiusa.
“ä” si pronuncia “è”
“ü” il solito varesotto con la “u” chiusa e stretta
“ß” è una semplice doppia “s”, gli svizzeri, dall’alto della loro intelligenza hanno pensato bene di eliminare sto carattere inutile e scrivere due volte la “s”. Questo fa enormemente incazzare i Germanesi che dichiarano senza indugio alcuno che, a causa di ciò, per capire uno svizzero che parla tedesco hanno bisogno dei sottotitoli anche in-real.
Nonostante le assonanze letterali e fonetiche con il miglior dialetto lumbaart, non provate a dire che in estate avete kált, perché ti guardano tutti male. Qui al massimo un po' di Kalt lo puoi avere in pieno inverno, quando le giornate sono corte, la media è intorno ai meno dieci e devi scalare la cascata di ghiaccio ed uccidere l’orso polare per rientrare in casa dalla finestra, a stento raggiungibile nonostante i quattro metri di neve.


Ma in fondo il tedesco è facile. La prima regola che ti insegnano è che il verbo è al secondo posto nella frase, sempre e comunque. A parte nelle domande, che è sempre per primo, a meno che non sia una w-frage, perché allora è sempre secondo o a meno che il tempo non sia composto, perché in questo caso va spezzato in due, l’ausiliare (o il modale) secondo e il resto alla fine; certo se ci fosse una frase subordinata, che non rispetta affatto questa facilissima regola di posizionamento verbale, il verbo della frase subordinata, appunto, va messo alla fine, anche se è composto, credo... Chiaro e limpido, vero?
Poi ci sono i pronomi tutti declinabili, il pronome relativo che è fatto dall’articolo stesso, dei fantomatici pronomi definitivi che mi fanno un po’ paura, uno strano complemento oggetto che a causa delle preposizioni si fotte gli altri complementi rendendo necessaria la declinazione, un bellissimo articolo negativo (kein/e), sei verbi modali e, last but not least, il fenomeno dell’agglutinamento (o agglutinazione?) delle parole!


Il Germanico è una lingua agglutinante, non vuole necessariamente dire che contenga glutine, bensì che parole diverse si uniscono a formare tante nuove parole dalla lunghezza allarmante. Esempietto facile-facile: “Fahrkartenschalterhalle” che sta un po’ a significare androne-dove-si-trovano-gli-sportelli-per-fare-i-biglietti. Ma quanto sono avanti in Tedeschia?
Un consiglio? Non usate mai la parola “ovvio” in tedesco: selbstverständlich, che non centra un cazzo con l’agglutinamento, ma usare una parola talmente cazzuta per dire una enorme cazzata, è fuori da ogni raziocinio. Non la utilizzerò mai.


Esiste la possibilità che dobbiate chiedere che ore siano. Ebbene in Germanico le parole giuste da usare sono “Wie spät ist es?”, peccato che tradotte letteralmente vogliano dire “Quanto tardi è?”. A me va bene lo stacanovismo tedesco, ma questo è puro pessimismo storico della loro classe dirigente, che si crogiola nell’autocompiacimento facendo credere ai sottoposti che sia sempre tardi, potendo urlare con un fare da Führer, la loro locuzione preferita: “Schnell, Scheiße ... Schnell!!!”.




Se mai qualcuno mi dovesse chiedere quanto tardi si sia fatto, prometto solennemente di rispondergli con qualcosa del tipo “Non saprei, ma non è affatto tardi...”


Anche i numeri Germanici si comportano in modo strano. Tranquilli, anche qui vige il sistema metrico decimale e ogni buon Germanese sa contare fino a 10 usando le dita delle mani e fino a 20 usando quelle dei piedi; un buon ordine di grandezza in più rispetto a noi italiani che senza una calcolatrice sappiamo contare sino a uno, ma solo perché ragioniamo con il pisello. I bambini qui però non giocano ad un, due, tre – stella, ma ad eins, zwei, drei – Polizei, perquotendo il malcapitato che non si ferma in tempo con carnosi manganelli di legno con incisa una croce uncinata. Ma torniamo ai numeri: se fino al 20, bene o male, abbiamo imparato che ogni lingua segue una anarchia tutta sua (italiano e tedesco compresi) qui ci troviamo davanti all'apoteosi del non senso. Anche in questo caso è l'ordine naturale delle cose ad essere cambiato. Dovete dire “ventuno”? Preparatevi a dire uno-e-venti, tutto attaccato: einundzwanzig.
Il climax si raggiunge al 555 che si legge fünfhundertfünfundfünfzig. Una overdose di "u" che condannerebbe dritto alla dannazione eterna il più pio dei linguisti neolatini.




Dulcis in fundo, se vi dovesse capitare di finire in Cruccolandia tenete bene a mente le tre frasi più importanti per il neofita:
1_ Ich spreche kein Deutsch. (Traduzione letterale: “Io parlo nessun tedesco”)
2_ Ich verstehe nicht. (Traduzione letterale: “Io non capisco”)
3_ Deine Busen sind riesig. Mochtest du ficken? (Traduzione letterale: “Le tue tette sono giganti. Ti andrebbe una scopata?”)
Purtroppo erano anche le uniche frasi ben incise nella mente dell’idolo Giovanni Trapattoni, che durante la sua fantastica avventura in Germania al Bayern finì la sua intervista-scandalo con un fantastico “Io sono finito” (Ich habe fertig) piuttosto che dire “Io ho finito”, diventando un cult per i giovani tedeschi ed anche per la Gialappa’s.



P.S. Ho tentato in tutti i modi di trovare sul web la celeberrima “Ipse Dixit” che la Mai Dire Gol fece nel ’98, appunto della conferenza stampa del Trap a Monaco, ma la mia ricerca non ha dato risultato alcuno. Possibile che in quell’immenso mare di informazioni che è il World Wide Web, questo pezzo di storia del calcio sia andato irrimediabilmente perduto?



"L’Italia è un Paese in cui vige un «fascismo light» che non mi piace per niente. L’Italia è un incubo da cui mi auguro gli italiani si sveglino presto. L’Italia è il Paese che amo."


Daniele Luttazzi.