Wednesday, March 16, 2011

Robur aut Fides?


Nel corso degli ultimi due anni ho fruttuosamente messo in pratica ogni espediente per stare alla larga dagli àuguri del XXI secolo, gli aruspici della civiltà contemporanea, gli shamani indagatori di viscere del nostro tempo.
Sabato scorso, però, mi sono trovato a fallire miseramente e, rovinosamente, ho imboccato la via senza ritorno, ho messo un piede innanzi all’altro sul viale alberato del fallimento, ho percorso l’oscuro corridoio della sconfitta. Ed è così che, abbandonando il sentiero della superbia, con gli occhi velati di mestizia (e poi?!?...) mi sono recato dal medico. Si, quello strampalato individuo dall’aria saccente, necessariamente tuttologo che pontifica sulla salute altrui con la stessa disinvoltura con cui Berlusconi insozza la Magistratura, sprezzante dell’opinione del paziente come il Papa della merda di piccione che gli intonaca la tiara scintillante. Lo stesso individuo dal quale ci si costringe a recarsi per farsi tastare gola, ghiandole, petto, mammelle, addome, tronco, genitali, prostata ed appendice o elemosinare la droga di una casa farmaceutica compiacente che permetta di rendere l’estrema unzione per il vicario di turno, facile come una scampagnata al Parco Sempione.
Sono andato direttamente all’ospedale. Eccolo qui, fotografato di notte ed in pieno Inverno.



Quando si parla di Sventracadaveri, io vado solo dove c’è più possibilità di scelta, almeno le probabilità di trovare quello che ha appena finito la scuola di imbalsamatore, sono minori. Ho avuto la possibilità di provare sulla mia pelle la sanità della Grande Germania.
Dopo aver sventolato loro davanti al naso il mio tesserino sanitario come fosse una mazzetta di banconote da 100$, si sono assicurati che fossi un sano (non tanto) contribuente, mi hanno messo in attesa. Per un paio di ore. Credo sia una prerogativa del sistema sanitario di qualunque posto al mondo. Se uno dovesse inventare un nuovo stato, al giorno d’oggi, baserebbe il tutto su 3 pilastri fondamentali: la burocrazia infinita della pubblica amministrazione, l’attesa nella sanità, le troie del presidente del consiglio. Senza uno di questi il sistema crollerebbe, non mi spiego come faccia la Germania ad essere la locomotiva d’Europa.

Mentre aspettavo, non sapevo cosa aspettarmi. Dalla sanità tedesca, intendo. Di certo qualcosa di diverso da quella italiana, ma, viste le premesse, cominciavo a sospettare il peggio. Insomma: solo, malato, in un paese straniero, dove si parla una lingua strana e quando vai all’ospedale ti fanno attendere in sala d’attesa. E se il medico non parla inglese? E se non c’è proprio un medico, ma un malvagio macchinario che estrae la prognosi dopo un’accurata esplorazione rettale? Come cavolo si dice “ho la tosse” in tedesco? Fu così, mentre già raccomandavo l’anima a Capitan Findus, che una infermiera mi chiama in uno sgabuzzino, mi spilla un po’ di sangue con un aggeggio idraulico collegato a provette ultratecnologiche da fare invidia a MacGyver; ed anche a me, a dirla tutta, se avessi un kit del genere avrebbe più senso estrarre sangue dal gatto dei vicini, le mie siringhe di vetro cominciano ad essere arrugginite dal coagulo acido di quell’orrido felino. Prima di rispedirmi in sala di attesa, però, mi attacca il braccio ad un computer che mi misura tutto, battito cardiaco, pressione, stress, temperatura e prostata.

Tempo di rimettermi a posto il tanga di Hello Kitty e odo il mio nome chiamato a gran voce dall’interfono. Faccio un po’ fatica a capire che vogliono proprio me, visto che qui la “r” la pronunciano come un telegrafo pronuncerebbe un pi-greco. Meglio non esitare, con ancora fresco ricordo della macchina misuratrice di pressione prostatica ed in mente il pensiero di una malvagio dottore hitleriano feticista delle misurazioni febbricole interne, entro in reparto. C’è un po’ di confusione, ma d’altronde siamo in pronto soccorso. Un tale mi stringe la mano, mi dice che è il mio dottore, ma io non realizzo. Mi calmo. Stringo gli occhi, sbatto le palpebre e asciugo le lacrime di gioia. QUI È PIENO DI FIGA.
Non mi sono nemmeno accorto di essere caduto in ginocchio, è il medico che mi porge la mano e mi aiuta ad alzarmi. È una brunetta tutto pepe bella come solo l’ipertermia poteva farla apparire. Di maschi ce ne sono pochi e se ne stanno seduti sulle loro poltrone di pelle, in accappatoio firmato fumandosi sigari cubani e gustandosi scotch ghiacciato, mentre le infermiere in abiti succinti portano loro le cartelle da firmare.
Ovunque mi giro ci sono pazienti, ogni due pazienti una dottoressa, ogni due dottoresse tre infermiere e due inservienti.
E che inservienti! Sono le più belle di tutte, ho fatto una foto ad una mentre puliva il pavimento davanti al bagno dei degenti…



E poi una foto anche alla dottoressa mentre chiude la porta dell’ambulatorio, peccato che poi mi abbia sequestrato il telefonino ed abbia dovuto darmi un sedativo per tenermi calmo durante la visita :(



Quando mi riprendo verso la via di Damasco passo per la reception e la brunetta tutto pepe mi liquida con un “continui ad imbottirsi di paracetamolo che va benissimo, per i giorni vada dal suo medico”, un bacino senza neanche un accenno di lingua ed il sogno finisce. Sto meditando di spaccarmi un numero dispari di braccia superiore ad uno per farci un nuovo giro in quel pronto soccorso degli dei.

Per concludere la mia esperienza con la sanità germanica, sono andato dal mio medico. Lui non lo sapeva ancora di essere il mio dottore, anche perché si è rivelato essere una dottoressa bella almeno quanto quella dell’ospedale. Il mio quartiere è un quartiere a maggioranza turca. Vabbè ognuno ha i propri difetti: ci sono i quartieri che si bucano, quelli che fumano, quelli che bevono e poi picchiano la moglie o magari violentano i figli. Il mio è turco, che non è un difetto, anche perché il kebab che si mangia qui non lo batte nessun altro quartiere tedesco, nemmeno quelli che oltre alla moglie pestano anche i bambini.

La cosa bella è che qui l’opinione dei pazienti conta sul serio:
“È una normale bronchitina, le do una settimana di malattia e le prescrivo gli antibiotici.”
“Dottore la febbre è sotto i 38 da ieri ed il capo bestemmia in sanscrito se non torno a lavorare entro Giovedì… Facciamo 3 giorni di malattia e niente antibiotici?”
“Andata!”
Eppur mi sovviene ciò che accadeva in Italia ogni volta che ero malato. Il mio medico di famiglia non ti credeva vittima di un incidente automobilistico nemmeno se la tua Panda era parcheggiata sul tetto nella sua sala d’attesa.

E poi i giorni di malattia: qui i primi due sono bonus, non devi giustificare nulla a nessuno. Basta la tua parola. Hai mal di testa, la tosse, il raffreddore, attacco acuto di emorroidi sanguinolente, basta che chiami il capo e comunichi la tua assenza dal lavoro per malattia. Se poi al terzo giorno sei di nuovo malato hai bisogno della certificazione medica che riporti in azienda quando rientri e che la tua assicurazione necessita nel giro di una settimana via posta semplice. In Italia, se stai a casa un giorno, devi andare dal medico, cappottargli la panda in sala di attesa, sperare di ottenere parere favorevole per l’astensione dal lavoro, spedire via posta prioritaria, assicurata, raccomandata, santificata ed in quintupla copia in carta bollata, la documentazione all’INPS, al datore di lavoro ed anche a te. Sperando che il tutto non vada perduto in quel meccanismo perfetto che sono le poste italiche, altrimenti il licenziamento è garantito.
Mi hanno rifatto anche gli esami del sangue e indovinate un po’? Sono pronti nel giro di 24 ore, l’esito arriva al tuo medico o a te per posta il giorno dopo, senza spendere una lira, turca o italiana che sia. In Italia? Prima vai dal tuo medico, per capire dove devi andare a farti cavare un po’ di plasma e globuli bianchi/rossi. Quando ti rendi conto dai suoi farfugliamenti che nemmeno lui lo sa, aspetti e speri. Poi, versi un po’ di sangue in qualche provetta, e ricominci ad aspettare ed a sperare. Se Invece non ti va di aspettare così a lungo, paghi ed aspetti un po’ meno, senza smettere di sperare. Se non ti va nemmeno di sperare, si vede che non hai poi tanto bisogno di farti esaminare la tua materia rossa.

Ed il ticket? Qui in Germania si paga subito appena vai dal medico, è sempre uguale, vale per qualunque altra prestazione all’interno di un trimestre, per qualunque visita tu debba fare. Ah dimenticavo, sono sempre e solo 10 euro.

Giudizio sulla sanità tedesca: Promossa, Cum Laude e bacio accademico (con la lingua).

Un peccato che in Germania non ci siano più le suore in corsia. Eppure ho scovato frugando negli archivi segreti e dimenticati del Vaticano, delle foto che mettono a confronto le suore tedesche con quelle italiane quando in corsia, le suore ci potevano ancora stare.



Capisco il fascino dell’orrido, la nostalgia per i baffi o il velo stile alettone da F1, per dare portanza alare a quel popò di 100 kili di suora, ma io un affare del genere non lo userei nemmeno per pulire le sputacchiere di Little Italy. I tedeschi si, che erano già avanti! Un paio di suore del genere a spasso per la corsia aveva l’effetto sulla morale del malato come il Cialis sul prepuzio di ottant’enne impotente. Cribbio una suora così ti dimostra che Dio esiste, che la guarigione, oltre che questione di forze immunitarie, è anche questione di fede. Poi, è arrivato l’oscurantismo Romano a rinchiudere tutte le suore tedesche in oscuri monasteri sui Carpazi, è finito il divertimento ( e con lui la perversione). In Germania ci consoliamo con le inservienti, le infermiere e le dottoresse; in Italia consola solo il nodo scorsoio.



Quel che riterrai giusto in terra, io riterrò giusto nel regno dei cieli!" Questo disse il Signore a Pietro... che per come la vedo io, vòr dire "Tu e i tuoi discendenti siete liberi di fare un po' 'r cazzo 'he vi pare!" parola più parola meno.

Don Zauker