Ed eccomi a riproporre la mia nota di approfondimento sulla politica italiana. Non interessa a nessuno? Esatto, è per questo che, come dice il titolo, la mio opinione vale solo un paio di penny (“My two cents” in USA o “un soldo bucato” in Italia).
Il 7 Ottobre 2009 i Giudici della Consulta si sono espressi sulla costituzionalità del così detto “Lodo Alfano”, creando con la loro decisione scompiglio, brivido, terrore e raccapriccio.
Per chi non lo avesse capito, o forse dolosamente non glielo avessero ancora spiegato, il suddetto Lodo imponeva con una legge ordinaria, e non di carattere costituzionale, una norma che di fatto avrebbe modificato all’articolo 68 della nostra Costituzione. L’articolo incriminato è quello che riguarda l’immunità parlamentare. L'articolo 68 vigente è in vigore dal 14 novembre 1993, essendo stato modificato con la legge costituzionale n. 3 del 29 ottobre 1993. Prima della revisione costituzionale, per sottoporre un parlamentare a procedimento penale era necessaria l'autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza. Se la Camera negava l'autorizzazione, il parlamentare non era processabile fino alla fine dell'incarico. A seguito del polverone Tangentopolesco (Fa molto Paperopoli o Topolinia questo termine, vero? Rende però l’idea di come sia andato a finire il tutto, nel corso degli anni) durante i primi anni ’90 l’articolo 68 fu modificato come segue, imponendo che «senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza». «Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza». Tutto chiaro?
Il signor Alfano e la sua allegra combriccola di bricconcelli parlamentari di maggioranza hanno pensato bene di reintrodurre l’immunità parlamentare per le quattro più alte cariche dello stato: Presidente del Consiglio dei Ministri (Silvio), Capo dello Stato (Napolitano), Presidente della Camera dei Deputati (Fini) e del Senato della Repubblica (Schifani). Strana coincidenza, l’unico ad avere processi pendenti penali è il leader di maggioranza Silvio Berlusconi.
Ai banchi della difesa, davanti alla Corte Costituzionale, supremo organo di autogoverno della Magistratura italiana, gli avvocati - e parlamentari - Niccolò Ghedini e Gaetano Pecorella, insieme a Piero Longo, improntano il centro della strategia difensiva del Lodo Alfano: "La legge è uguale per tutti, ma non necessariamente lo è la sua applicazione, come del resto la Corte ha già ribadito" è la motivazione con cui l'avvocato Ghedini ha aperto la sua arringa. L'avvocato ha citato come esempio "le norme sui reati ministeriali, dove la legge ordinaria distingue il comune cittadino dal ministro". "Non è possibile rivestire la duplice veste di alta carica dello Stato e di imputato per esercitare appieno il proprio diritto di difesa e senza il sacrificio di una delle due".
Quindi si afferma che essendo le sanzioni inasprite nel caso un ministro commetta un reato direttamente legato alla sua carica, esiste una disparità nella applicazione della legge. Per cui per un Premier che abbia commesso un reato, nel caso venga processato, la disparità nell’applicazione della legge rende il processo stesso incompatibile con la carica di Presidente del Consiglio, ed è quindi il processo a dovere essere cancellato, non il Presidente a doversi dimettere.
Per chi ha letto Orwell, questa è una purissima applicazione del bipensiero; non si discute di una possibile litote dove per esprimere e rafforzare un concetto si nega il suo contrario, ma di un sagace abilità di distorcere la realtà secondo il proprio volere, solo mediante l’utilizzo del verbo.
Insiste Pecorella:
"Con le modifiche apportate alla legge elettorale (voluta da questa maggioranza, n.d.r.) non può essere considerato uguale agli altri parlamentari (il Premier, n.d.r.). Non è un primus inter pares, ma un primus super pares".
Per citare nuovamente Orwell, come ha fatto il britannico “Times” su questa vicenda, questa sembra una frase scippata a “La fattoria degli animali”, libro che non è null’altro se non una spietata metafora del totalitarismo, in cui in una società che predica la totale eguaglianza tra gli animali, si afferma che qualcuno di loro è in realtà “più uguale” di tutti gli altri.
Ho ascoltato un commento a caldo in diretta di una parlamentare del PdL che, difendendo a spada tratta Berlusconi, creava un curioso parallelismo tra quello che fecero i Padri Costituenti introducendo nella costituzione l’articolo 68 e la sentenza di annullamento del Lodo Alfano. Alla domanda “Vogliamo pensare che i Padri Costituenti fossero in torto?” la parlamentare lascia in un “non detto” una sorta di sineddoche in cui ammettendo che l’ex articolo 68 fosse errato, di conseguenza lo sia anche l’intera carta costituzionale. Benché ricordi il suo accento sardo, purtroppo non ricordo il nome della suddetta onorevole. Peccato abbia dimostrato la sua ignoranza. Nel 1946 i tempi erano diversi, e non è revisionismo storico. Dopo il totalitarismo fascista la neonata Repubblica aveva necessità di stabilità, a partire dalla sua cattolicissima classe dirigente. A quel tempo l’immunità era necessaria, purtroppo ci sono voluti cinquant’anni e tangentopoli per permettere la sua revisione. E per fortuna. Perché alla fine degli anni ’40 nessuno dei Padri Costituenti poteva vere la lungimiranza, senza passare per un fantascientifico miscredente, di anche solo intuire che i media, con l’avvicinarsi degli anni 2000 diventassero il nuovo oppio dei popoli. Secondo Montesquieu (circa 1750) in un normale stato di diritto il potere supremo è ripartito sotto tre aspetti: il potere esecutivo, nelle mani del Governo, il potere legislativo nelle mani del Parlamento, il potere giudiziario che risiede nelle mani della Magistratura. Come forse tutti non sanno, nel XVIII secolo non esisteva altro mezzo di informazione che la carta stampata, peccato che fossero solo pochi fortunati a saperla decifrare. Con l’avvento dell’alfabetizzazione, i poteri, da tre sono diventati quattro. Il quarto potere è quello dei media. Esatto, è a causa dei media che le informazioni sono modificate a uso e consumo del potere, non necessariamente uno degli altri tre. È per questo che il così detto quarto potere può essere più forte di tutti gli altri sotto determinate circostanze. Consiglio ai neofiti la visione del film "Quarto Potere" (titolo originale Citizen Kane del 1941) in cui un non proprio sconosciuto Orson Welles presenta l’inquietante storia ci come un magnate della carta stampata tenti, sfruttando appunto il suo potere mediatico, di farsi eleggere quale governatore negli Stati Uniti e di come a causa sempre del quarto potere non ce la faccia (ok, chiedo scusa per il piccolo spoiler). Come ha scritto Ezio Mauro, direttore de “La repubblica”:
“In una formula - aberrante, e salutata con applausi soltanto in Italia - si potrebbe dire che il Capo dell'esecutivo ha in questo caso usato il legislativo per sfuggire al giudiziario, fabbricando con le sue mani e con quelle di una maggioranza prona un salvacondotto su misura per la sua persona, in modo da mantenere il potere senza fare i conti con la giustizia.”
Io ci aggiungo solo che il nostro capo del governo mantiene nelle sue mani non due su quattro, ma ben tre su cinque poteri: quello esecutivo, quello legislativo ed in maggioranza quello mediatico. Il potere giudiziario pare saldamente in mano alla sinistra (pare vietato ammettere che sia imparziale, vero?), ma il QUINTO potere?
Esiste,eccome, da almeno duemila anni. Nel passato erano i papi ad incoronare gli imperatori, la religione non è null’altro che una sorta di potere mediatico esercitato per mezzo della superstizione, professata in tetri luoghi capaci di accogliere centinaia di persone per volta. Ebbene, grazie agli scandali dell’Estate anche la Chiesa gli ha voltato, con riluttanza, tatto e lungimiranza, le spalle.
Verrebbe da chiedersi perché. Perché si ostini a rimanere attaccato al potere con il sangue, i denti e pure le unghie dei piedi. È semplice, lo afferma ineccepibilmente Giuseppe D’Avanzo di nuovo su “La Repubblica”:
“La politica, per Silvio Berlusconi, è nient'altro che il modo più efficace per accrescere e proteggere il suo business. È sempre stato così fin da quando, neolaureato fuori corso in giurisprudenza, si dà agli affari. Forte di legami politici con le amministrazioni locali e regionali - e qualche "assegno in bocca" - diventa promotore immobiliare. La politica gli consente di tenere a battesimo, fuori della legge, il primo network televisivo nazionale. La collusione con la politica - la corruzione d'un capo di governo e il controllo di ottanta parlamentari - gli permette di ottenere, dal presidente del consiglio corrotto, due decreti d'urgenza e, dal parlamento, una legge che impone il duopolio Rai-Fininvest. Non proprio un prometeo dell'economia, nel 1994 è in rotta e fallito (gli oneri del debito della Fininvest - 4000 miliardi di lire - superano l'utile operativo del gruppo).
Ha perso però i protettori travolti dal malaffare tangentocratico e s'inventa "imprenditore della politica" convertendo l'azienda in partito. E' ancora la politica che gli consente di manomettere, con diciassette leggi “ad personam”, codici e procedure per evitare condanne penali per un variopinto numero di reati (falso in bilancio, frode fiscale, appropriazione indebita, corruzione) fino all'impunità totale della "legge Alfano" che gli assicura un parlamento diventato bottega sua.”
Si, certo, manca la parte dell’eroe Vittorio Mangano, ma se ci mettiamo la Mafia come sesto potere, l’Italia diventa peggio di una barzelletta. Facciamo come ormai fan tutti: facciamo finta che la mafia non esista.
Ma Berlusconi è una vittima? Certo, è solo vittima di se stesso: ognuno, prima o poi, ha quel che si merita. Egli è solo vittima delle sue azioni passate: la torbida compravendita di diritti tv, la corruzione giudiziale nel lodo Mondadori per scippare a Carlo De Benedetti (oggi proprietario del gruppo Repubblica-L’Espresso) la più grande casa editrice italiana. Insomma, una resa dei conti tra nemici giurati. Per tornare al 4 potere, purtroppo (per Silvio), o per fortuna (de “La Repubblica”), pare non essere ancora del tutto nelle mani del Premier. I tempi quindi sembrano maturi, la campagna mediatica della stampa non ancora nelle sue mani lo incalza, la Chiesa fugge a gambe levate alzando l’abito talare e mostrando livide gambette scarne senza il minimo segno di biancheria intima, la stampa internazionale lo bacchetta, le escort non se lo filano più. E l’opposizione che fa?
L’IdV attacca il Capo dello Stato, talmente impegnati nel loro giustizialismo da dimenticare che in Italia non esiste il diritto di veto. Che vergogna. Napolitano, insieme a Fini, sono le uniche persone ad essere venute fuori senza il minimo ammacco da questo pandemonio, il primo firmando il Lodo Alfano, il secondo bacchettando da vero super partes la coalizione dalla quale proviene.
Il Partito Democratico? Se anche ha una parte in questo caos (i famosi “scossoni al Governo” teorizzati da D’Alema a pochi giorni dagli scandali delle escort, mi spiace per tutti ma non potevano essere un caso) il PD ha semplicemente dimostrato la sua deficienza politica, mettendo in ginocchio Berlusconi e la politica che egli rappresenta nel momento sbagliato, usando (finalmente) i mezzi sporchi che non aveva avuto il coraggio di usare ai tempi della Bicamerale, ai tempi di D’Alema Presidente del Consiglio, ai tempi in cui si discuteva di conflitto di interessi. Certo, il momento non era opportuno: come si può pretendere di conquistare il potere e demolire un avversario senza avere né un leader, né una linea politica condivisa? Idioti...
Ecco che lo spettro del quinto potere si rifà avanti, come un cancro tra le file del Partito Democratico, i maledetti Teodem fanno le prove con l’UDC per una nuova Democrazia Cristiana e relegare di nuovo il potere temporale nelle mani di un Dio la cui dubbia utilità è ad uso e consumo della casta ecclesiale.
La sinistra radicale, orfana delle polo Lacoste del vecchio Bertinotti, si è ormai guadagnata l’attributo di extraparlamentare. Qualcuno le dica che i tempi di Berlinguer sono finiti.
E nella maggioranza?
Il PdL ovviamente si schiera, chi con Fini, chi con Silvio.
Le parole di Bossi non meritano, invece, il minimo commento.
In tutto questo calderone si inserisce anche la legge per il rientro dei capitali dall’estero. Nient’altro che un regalo a mafiosi, corrotti e farabutti pur di tentare di raschiare il fondo di un barile il cui fondo non esiste più, da quanto è stato raschiato a fondo.
Infine, per quanto riguarda la politica internazionale, trovo alquanto pazzesca l’investitura, se così si può dire, a “paladino della pace” di Barak Obama. L’uomo più potente della terra ha avuto almeno la buona grazia di arrossire e dichiarare che “non è sicuro di meritare” il Nobel assegnatogli. I casi sono due: o i gentiluomini della accademia di Svezia avevano bisogno disperato di una pubblicità gratuita, per sentirsi ancora sulla cresta dell’onda con ancora il vento a scompigliare le canute barbette; oppure veramente nell’ultimo anno nessuno ha voluto la pace più del capo di stato del paese che continua ad ammazzare gente in Afghanistan ed Iraq e che permette al suo interno di mantenere la pena di morte. In questo caso, il mondo è proprio allo spasimo. Ma forse è solo un premio che racchiude un auspicio per il futuro, nel quale non resta che sperare.
Detto ciò, mi ritiro per deliberare insieme ai miei amici sinistroidi Giudici della Consulta. Perlomeno, nove su quindici. Insieme al 72% della stampa italiana a cinque televisioni nazionali su sei del tutto schierate contro il Premier, insieme a Fini che è troppo schifosamente fermo nel suo ruolo istituzionale per essere stato in passato leader della Fiamma Tricolore ed infine al Capo dello Stato, un ex comunista salito al potere spolpando pargoli e bevendo sangue di vergine dai teschi di massoni decaduti. Insomma tutti gli ingredienti per un bel PARTY!!!
Date retta a me: alle prossime elezioni votate scheda nulla.
“LA GUERRA È PACE
LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L'IGNORANZA È FORZA.”
George Orwell, “1984”. Data di prima pubblicazione 1949.
No comments:
Post a Comment