L’altro giorno ero in giro per Potsdamer Platz a cazzeggiare allegramente per centri commerciali, con la prospettiva della ricerca infinita di un nuovo appartamento che non abbia le sembianze di una bettola ripugnante o che non sia ubicato in culo ai lupi, quando, d’un tratto, ho sentito parlare bergamasco. Basito mi sono guardato intorno e, dopo avere verificato di essere inequivocabilmente in un paese terzo la cui lingua somiglia più ad all’antico babilonese che al dialetto più parlato ad ovest del Lago d’Iseo, ho cercato la fonte di quella che sembrava una bella e buona discussione politica. Erano in cinque o sei brutti ceffi, la maggioranza, che se la prendevano con un solitario, piccolo paladino delle proprie idee, sfidante l’ira del popolo senza farsi intimorire in alcun modo dalla disparità delle forze in campo. Facendo lo gnorri mi sono avvicinato per ascoltare quale fosse l’argomento dell’alterco. Fortunatamente essendo di origini Suine (bresciane e quindi per un bergamasco = bresà sünì = bresciani maiali) non avevo bisogno di un traduttore simultaneo e sono stato in grado di comprendere al meglio il motivo di tanto latrare. Non avevo mai assistito ad una lite politica all’interno del centro destra, oggi chiamato PdL. A differenza della sinistra dove tutti discutono con tutti insultando tutti dicendo tutti esattamente le stesse cose, nell’ex centro destra italiano si dovrebbe essere in grado di capirsi, comprendersi e amoreggiare sulle candide note di “Faccetta Nera”. A quanto pare i sei brutti ceffi Longobardi importunavano un povero indifeso Forzista che, difendendosi a spada tratta, soleva ripetere ogni due per tre la parolina “Silvio”, come se Egli fosse il suo migliore amico o potesse in qualche modo indurre timore nei suoi interlocutori. Pur essendo dalla parte dei leghisti non ho potuto che provare compassione per quel povero Forzista tutto solo ed indifeso; alla fine rimango pur sempre un sordido sinistroide che non può fare altro che parteggiare per i perdenti, un po’ l’abitudine dei tifosi interisti fino a qualche anno fa. Il fulcro della discussione era sorprendentemente qualcosa di diverso da ciò che uno si aspetta quando vede parlare quattro leghisti bergamaschi. In genere le discussioni più animate si anno dopo una focosa e combattuta partita di Briscola Chiamata quando, tra una bestemmia ed un bianchino, si trova spazio per discutere per mezzo di assiomi assoluti, anche di politica, di razza superiore e di spari sugli immigrati. Eppure, nonostante la compassione per il povero Forzista, dopo avere ascoltato attentamente il senso del discorso nascosto tra una caterba di “pota”, mi sono ritrovato, di nuovo, dalla parte dei leghisti.
Incredibilmente essi stessi medesimi in quanto tali, sostenevano che non solo non c’era nessun disegno eversivo nella esclusione delle liste PdL dalle elezioni amministrative, ma che il tutto era la dimostrazione della imbecillità della classe dirigente in capo al Popolo delle Libertà. Il piccolo indifeso forzista poteva esibire il suo santino di San Silvio da Arcore ad oltranza, ma di fronte alla evidenza, prima o poi, avrebbe dovuto cedere.
Non so come sia andata a finire la discussione, né tantomeno se sia sfociata in colluttazione visti gli elementi in gioco. Me ne sono andato sconsolato: qui è stato toccato il fondo. Il fondo di cosa? Del barile? Del barattolo di Nutella? Del bidet? Si, il bidet, quello che qui in Germania tanto ci invidiano e che noi non apprezziamo abbastanza fino a che non ne siamo irrimediabilmente lontani. La Democrazia, in Italia, la posso solo definire come “la Politica del Bidet”.
Non posso fare altro che pensare al nostro primo ministro seduto sul bidet, che chiede al suo maggiordomo Ambrogio (si chiamano tutti Ambrogio) di portargli il telefono per chiamare Letta al fine di organizzare un bel Consiglio dei Ministri e varare un paio di leggi ad-personam. Splendidamente seduti sui bidet di avorio di Palazzo Grazioli, la residenza romana del Premier, ci sono proprio tutti: la Carfagna con le tette di fuori fa impazzire quel pigmeo di Brunetta, che si è portato da casa il vasino formato mignon; Letta spalma pomata sulle emorroidi di Bondi mentre Gasparri, non avendo mai visto un bidet, chiede delucidazioni sul funzionamento ad un alquanto basito Calderoli. La Russa si scaccola allegramente.
Silvio comincia a parlare tra un peto e l’altro: è un discorso tronfio e rispettoso dei suoi toni più caldi, infervora la folla e alla fine strappa un boato di applausi. Il “Legittimo Impedimento” è cosa fatta, mezz’ora di pausa. La Mariastella Gelmini comincia infoiare Schifani parlandogli del suo passato da spogliarellista ed attrice porno adocchiando voracemente la Carfagna che da suggerimenti a Gasparri il quale si rivela incapace di saper leggere, avendo comprato l’esame di quinta elementare. Gli pare proprio impossibile che per aprire il rubinetto dell’acqua calda lo si debba girare invece che mordere. Bossi e Alfano, che di solito vanno d’amore e d’accordo, rimembrano, con le terga appisolate nell’acqua calda, i bei tempi degli altri meeting in Sardegna quando ci si spartivano gli appalti per il G8 poi spostato a L’Aquila e c’erano squillo di lusso da tutte le parti. “Pensa, ” dice Alfano “quella volta abbiamo fatto a tempo ad approvare anche lo Scudo Fiscale”.
Silvio rientra dalla toilette e riposa le sue chiappe presidenziali sul suo bidet d’oro massiccio: la seduta, nel vero senso della parola, può ricominciare. Ed eccolo partire per la tangente in un altro accoratissimo discorso in cui in qualche modo trovano posto la patria, la famiglia, dei luridi comunisti ed un paio di innoquissimi castori. Tutti annuiscono allegramente e lo special guest della serata, Formigoni, tirando fuori un cilicio, propone dieci minuti di punizioni corporali, per ingraziarsi i favori della Chiesa. Si sfiora la rissa per decidere chi si deve fare frustare dalla Carfagna, che per l’occasione sfoggia il suo miglior completo fetish. Inaspettatamente La Russa mete tutti d’accordo sul nome di Bondi e mentre la Mara si dà da fare con il frustino su quel corpo flaccido e ripugnante, passa anche il decreto “Salva Liste” per la gioia della Polverini, altra guest star della serata.
Il tutto, però, degenera quando si deve decidere chi debba frustare Gasparri: la zuffa è furibonda, sembra che nessuno voglia perdersi questa soddisfazione. Anche Fini, che se ne stava in disparte un po’ apatico, manganella sberloni a destra ed a manca, per la gioia di Brunetta che sulla rettitudine degli statali ha fondato la sua campagna elettorale. Non si capisce perché, ma anche Gasparri stesso è nella mischia, dando modo a tutti di dargli una bella ripassata. Bossi prepara la vasellina.
Ma il Premier ferma tutti sul più bello, non è il modo di comportarsi! Per quanto l’alterco possa essere acceso ed interessante, bisogna dare il buon esempio agli italiani ora che dibattiti, talk show e satira sono proibiti essendo in campagna elettorale. Il più deluso di tutti sembra essere proprio il povero Gasparri che già pregustava un’altra sonora dose di sculacciate.
Ma oramai non c’è più modo di concentrarsi sul lavoro e Silvio rimanda tutto a data da destinarsi mentre Bonaiuti e Capezzone discutono animatamente su quali siano i numeri giusti da giocare al Superenalotto.
Probabilmente seduti sui bidet della villa di Arcore si discuterà del nuovo condono edilizio.
Silvio caro, mio piccolo grande amore
ci stai rubando le 40 ore.
Tu che hai fatto tutto in quattro e quattr’otto
elimina il buon vecchio articolo 18.
Già che sei senza coscienza,
leva di torno la contingenza.
Visto che sei senza pietà
rubaci pure l'anzianità.
E se vuoi fare le cose serie,
lasciaci anche senza ferie.
Per migliorare la situazione,
togli di mezzo la liquidazione.
Se l'inflazione ancora dilaga,
fregaci per intero la busta paga.
E per dispetto dei sindacati,
aumenta ancora i disoccupati.
Ma perché tutto sia normale,
facci pagare anche l'ospedale.
Può esserci solo un lieto fine,
se ci farai pagare le medicine.
Per evitare ulteriori danni
mandaci in pensione a 90 anni.
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