Sunday, December 13, 2009

A Fat Tale


Ho deciso di raccontarvi una storia. Come tutte le storie che si rispettino inizia con un bel “C’era una volta...”


C’era una volta un Bambino Grasso ed ingenuo, ma talmente ingenuo da non sapere ancora di essere né grasso né tantomeno ingenuo, infatti oltre ad essere di una magrezza quasi impressionante, si destreggiava spigliatamente tra le sue coetanee, facendo stragi di cuori e mattanze di occhi da cerbiatto. Essendo un bambino, e non avendo ancora avuto le turbe psichiche dell’adolescenza, degli ormoni, delle ragazze e tutto il resto, non lo si poteva affatto considerare affetto da un qualche disturbo dell’alimentazione: mangiava abbondantemente, beveva quanto bastava, faceva la cacca regolarmente, ma non riusciva a fare accrescere quello strato adiposo che alcuni suoi coetanei cullavano così dolcemente. Non che a lui importasse gran ché, ma il ciccione nascosto dentro di lui scalpitava e impazziva dal dolore, sbraitava e imprecava (acciderboline e ciribiricolccole) bramando un giorno di riuscire a conquistare la libertà di quel corpo pelle ed ossa. Erano gli anni ottanta, la seconda metà, quando il mondo era ancora diviso tra buoni e cattivi e nonostante non si sapesse con chiarezza distinguere quali fossero (i buoni ed i cattivi intendo), gli schermi televisivi più convessi che mai mandavano in onda sogni in forma di cartoni animati giapponesi, la Commodore spopolava con il suo 64 e con un Amiga che ai ventiseienni di oggi ha insegnato l’assuefazione per l’informatica e l’amore per la tecnologia. Le giornate scorrevano lunghe e senza fine, le settimane duravano mesi per poi tramutarsi in battiti di ciglia quando ci si fermava a riosservarle. D’Autunno si sognava con ansia un Natale finalmente nevoso e per tutto il resto dell’anno quelle quattro settimane di oratorio estivo erano l’unica meta agognata, dove il tempo per la noia era così risicato che con quella banconota con il volto di Galileo datati da tua madre la mattina, si poteva comprare un gelato e venti caramelle o spenderla tutta in cicche, per trovare le figurine mancanti di Poggi e Volpi che nessuno aveva mai nemmeno visto lontanamente con il binocolo.



Intanto il ciccione che è in ogni individuo, si anche in voi, si dimenava: “Perché mangi tutte quelle caramelle e merendine e non mi concedi la libertà?” ma il Bambino Grasso Che Non Sapeva Ancora Di Esserlo non lo ascoltava, anzi non lo sentiva nemmeno, talmente si crogiolava nel suo autocompiacimento dell’essere smilzo.
Passò qualche anno che il Bambino Non Ancora Grasso trascorse tra alti e bassi, lunghi e stretti, spessi e sottili, senza mai ascoltare il ciccione che era in lui, non dandogli la minima chance, la minima aspettativa, la minima briciola di pasticcino.



Fu così che una sera, dopo l’ennesima iniezione di penicillina in una partita contro gli Orecchioni vinta in extremis per 2 a 1 con un calcio piazzato allo scadere, il ciccione prese il controllo: la guardia era abbassata, il Bambino Magro era spossato per la malattia o semplicemente pensava per un momento a quanto era bella la vita da non-grasso facendo progetti per tentare di conquistare il mondo. Il Ciccione, con un’abile e scattante manovra indegna dei suoi quasi 100 chili, relegò il Bambino Magro nel suo più profondo subconscio, incominciando a ingurgitare tonnellate di merendine del Mulino Bianco, quintali di Nutella, chili e chili di pattume, perdendo interesse per le bambine, lo sport e quasi tutte le relazioni interpersonali. Il dominio incontrastato di questo despota adiposo ebbe in questo modo inizio. Vorrei poter dire che il Bambino Magro fosse in qualche modo consapevole del suo stato di “non essere più”, ma la prigionia, insieme ai troppi zuccheri fagocitati, mandano il cervello in pappe, il pancreas al creatore e nemmeno la consapevolezza di avere le tettine poteva smuoverlo dal suo torpore. Ai primi giorni seguirono i primi mesi come ai grammi seguirono i chili di sovrappeso; con il passare degli anni i colori della vita sbiadirono intorno a lui: tutte le sfumature del rosso e del giallo persero calore, il blu e l’indaco si tramutarono presto in cineree alterazioni di quello che erano stati un tempo; quando anche il verde e l’arancione persero il loro significato di esistere, al Bambino Grasso non rimasero altro che il bianco ed il nero. Ormai il numero dei menti somigliava sempre più alle pieghe di una fisarmonica; l’addome, ormai simile a quello dell’omino Michelin, cascava sopra dei pantaloni larghi abbastanza per farci entrare il proprio padre; la schiena si incurvava e le ginocchia faticavano a reggere cotanto peso adattandosi in pieghe malsane.
A sua discolpa, Sua Grossezza il Lord dei Prosciutti non era del tutto stupido, anzi era ai livelli di intelligenza del suo prigioniero sottopeso; era curioso, imparava alla svelta e faceva galoppare la fantasia ad una velocità impressionante. Forse è per questo motivo che il suo dominio incontrastato durò così a lungo, è risaputo infatti che nessun sovrano mantiene il potere senza una buona dose di arguzia, intelligenza, sprezzo del pericolo e una scorta semi infinita di Tegolini del Mulino Bianco. Il suo impero infatti passò indenne attraverso i moti rivoluzionari della Pubertà, i sussulti della prima Adolescenza, tenendosi ben lontano dalle delusioni amorose, dalle ragazze ed a volte anche dagli amici con l’unico fine di preservare il potere.


Gli anni delle elementari volarono bassi tra frutta candita, cioccolate con panna ed il termine della Prima Repubblica; quelli delle medie si librarono senza apici di sorta a parte le elezioni del ’96 di cui si pagano i gli errori ancora oggi, ed in un ITIS sperduta tra Comasco e Varesotto, il periodo delle superiori volava pindaricamente tra una nuova Europa e la Genova del G8.






Una sera però, il vento cambiò. Ed esso non portava più con se né le fragranze della giovinezza, né i sapori del cibo ipercalorico, ma solo una nuova brezza di consapevolezza recondita e nascosta e repressa che raggiunse le oscure segrete in cui il povero Bambino Magro era rimasto rinchiuso per più di dieci anni. Il vento porta sempre con se un consiglio, per chi lo sta ad ascoltare, che sia un “mettiti il cappello che fa un freddo gatto” o “metti in piedi una Rivoluzione d’Ottobre”, poco importa. Sta di fatto che durante quella notte, il nostro eroe fuggì dalle segrete in cui per più di un decennio era rimasto rinchiuso. È una storia emozionante, ricca di colpi di scena, un paio di flashback, il maggiordomo immancabilmente colpevole ed un finale a sorpresa che coinvolge un prete, un viados ed il Governo Cantonale Svizzero, ma non è questo né il luogo, né il tempo per raccontarla.
Era ormai mattina quando, sfruttando le eccessive attenzioni di una guardia obesa per il proprio rumoroso deretano, quell’individuo che era stato il Bambino Magro si intrufolò nella sala del trono. Nascosto dietro i sontuosi tendaggi, passando accanto ad arazzi variopinti e quadri di vecchi canuti, poteva intravedere il monarca curvo sotto il peso dei suoi chili e spossato dal troppo cibo fagocitato. Gli occhi erano ancora vispi e sognanti, ma lo sguardo non sembrava felice né famelico, solo stanco, e quando incrociò quello del Magro Che Era Stato Un Bambino, con un sorriso sulle labbra Messer Porcello si dissolse in una grassissima bolla di sapone, lasciando dietro di se null’altro che un olezzo di strutto. Ed il Ragazzo Magro capì. Capì che il Grassone era sempre stato dentro di lui, che non erano nient’altro che la doppia faccia della stessa medaglia,la stessa metà di pandoro, i due culi dello stesso salame e che nessuno dei due poteva vivere senza l’altro in una eterna alternanza, in un eterno braccio di ferro tra bene e male, tra libertà dalle calorie e schiavitù dei dolci, tra obesità ed anoressia.
Ancora oggi l’Uomo Magro vive felice della sua magrezza, senza mai dimenticare quello che fu venticinque chili or sono, senza perdonare il bambino Grasso per avere, in un giorno così lontano, preso il controllo della sua vita. Senza perdonarlo per avergli fatto rimpiangere gli anni sprecati o rimordere le occasioni perdute, colui che fu il Bambino Magro ogni tanto, oggi, permette al grassone che è in lui di spassarsela per qualche minuto con un po’ di cioccolata o una scorpacciata di pane e formaggio, ed è ancora alla ricerca di una Donna che magari possa condividere con lui i ricordi di una infanzia trascorsa da Bambina Grassa.






Non possiamo salvare nessuno da se stesso.

Saturday, December 12, 2009

Mein Beruf


“Was machst du von Beruf?” È una delle prime cose che ho imparato in Germanico, insieme a “Wie geht‘s?” e “Deine Titten machen mich wahnsinnig!”.
Ebbene: cosa faccio di lavoro qui in Tedeschia? Beh se riuscite a spiegarlo a mia madre siete molto bravi, io non ce l’ho fatta. Non perché lei non sappia cosa sia un fotone o cosa sia un FPGA, ha studiato da infermiera mica da scienziata, ma credo che anche mio padre, che viene da una istruzione tecnica, abbia qualche difficoltà a spiegare ai suoi amici perché suo figlio, alla tenera età di 25 anni, abbia mollato casa, famiglia, lavoro, la fila di donne che lo aspettavano davanti al portone (sebbene la mia casa il portone nemmeno l’avesse) per andare in terra straniera a cercare fortuna. Beh partiamo dalla mia ditta, ovvero dove lavoro. La ditta non è mia, ovviamente, altrimenti sarei a godermi i miei decamila euro al mese con una birra e mille lire in mano; di sicuro non a scrivere sul blog.
Ecco io lavoro qui, non badate al grigio del cielo di Berlino, qui è settato come “default color”.





Ho la mia scrivania, il mio computer, un sacco di scartoffie, un bel po’ di disordine e l’accesso ad internet che in GA me lo sognavo la notte. Abbiamo la macchinetta del caffè espresso con riserva illimitata pagata dalla ditta, ma lo zucchero te lo devi portare da casa. Come, “perché?” Qui si pensa alla salute: caffeina si, diabete no. Per dirla tutta è un po’ un eufemismo la parola “espresso”, ma il suo porco lavoro l’apparecchio lo fa in maniera impeccabile, anche perché il mio collega polacco lo culla come fosse la sua nipotina. Fortunatamente il nostro caffè non è paragonabile al catrame liquido che ti servono le macchinette automatiche stile Polimi.



La giornata lavorativa inizia puntualissima: tra le 8 e le 11.30 più o meno tutti sono in ufficio e più o meno tutti fanno le proprie otto ore al giorno. Per quanto mi riguarda arrivo alle 9.05 e me ne vado alle 17.15, otto ore per il lavoro, 10 minuti di pausa pranzo. Si lavora per vivere non il contrario.
Prima cosa da fare, subito dopo avere acceso il computer, è controllare le innumerevoli e-mail che mi giungono sulla casella di posta elettronica del lavoro. Una od due alla settimana, di solito. Al contrario di quello che fa qualunque altro lavoratore italiano con a disposizione una connessione internet, mi sono imposto di non usare Facebook al lavoro, è una questione di correttezza, per cui non mi si venga a dire che cazzeggio al posto di fare il mio dovere. Ma in cosa consiste esattamente il mio dovere? Detta in parole semplici la mia figura professionale è quella di uno sviluppatore firmware (VHDL based) su piattaforme FPGA della famiglia Xilinx per applicazioni di management ed elaborazione di campioni provenienti da sistemi di misure fotoniche... Capito un cazzo, eh? Vediamo se ce la faccio a farvi un esempio. Un mesetto fa il capo mi dice che quello che prima si faceva fare al software, mo me lo devo smazzare io in hardware. Proviamoci, dico io. Dopo una settimana di schizzi, scarabocchi, bestemmie (in italiano), ore ed ore a pensare, ad interpretare ed evidenziare, ho partorito questo:


first


Come potete leggere chiaramente, il tutto funzionava benissimo. Peccato non facesse il lavoro per il quale era stato progettato. Allora ho tirato fuori questo dopo circa un’altra settimana e mezza:


final


Ovviamente, dopo avere eseguito una bel po’ di test, sulla carta il tutto funziona da Dio, come il seguente grafico può dimostrare:


test_g


Peccato che, ad oggi, dopo un mese di lavoro, una volta provato sull’apparato, non funzioni una cippa e mandi in crash il computer sul quale lo sto testando. Il capo oggi, molto amichevolmente, mi ha dato due settimane per sistemarlo. Ma settimana prossima è l’ultima prima del mio rientro in Italia per le feste, quindi speriamo di cavare qualche ragno dal buco. Ad ogni modo, questa è la dimostrazione che i duri anni di studio all’università sono serviti a qualcosa, che ho imparato, che sono un bravo ingegnere conscio delle proprie potenzialità e che sa esprimersi al meglio. Avete visto come sono stato bene dentro negli spazi quando coloravo? Non sono però completamente soddisfatto dell’accostamento cromatico, mi mancava il blu ed ho dovuto usare la penna. Per Natale mi regalerò una scatola di pastelli a cera.

Il duro lavoro, in Germania, porta anche dolci soddisfazioni. Come questa:



O un san Nicola di cioccolato Lindth con tanto di “Frohes Fest!” scritto sopra.
Per chi se lo stesse chiedendo: si, la nostra segretaria ci vizia...


Poi, ogni tanto il capo se ne esce con gli orsi...



...oppure con tredicesima e quattordicesima come quest’anno... io preferisco gli orsetti a due mensilità in più all’anno, eh, ma non ha senso stare a discutere. :D


In questi mesi, inoltre, ho anche avuto a che fare con dei pinguini. Purtroppo, o per fortuna, non mi riferisco né a quelli in abito talare e nemmeno ai poveri prigionieri dello zoo di Berlino. Un bel dì arriva un pacco per il mio collega russo con una bella etichetta di questo tipo:





Essendo la scatola delle dimensioni di, boh, un cubo 10x10x10cm, l’idea che possa contenere dei pinguini era alquanto improbabile.
Beh, che stupido,certo è pure scritto sull’etichetta che non ci sono pinguini all’interno. Però magari è un divieto: divieto ai pinguini di portare il frack, c’è anche il papillon! No, non credo.
Vietato appoggiare pinguini sulla scatola! Geniale, magari ci appoggio un cane, un gatto, un tenero koala, ma non un cazzo di pinguino!
No way.
Ci sono! La scatola contiene pericolosi oggetti satanici, non adatta a suore sotto la maggiore età (65 anni).
No non ci siamo: non dare la scatola ai pinguini, potrebbero conquistare il mondo o, chessò, la libertà. Beh potrebbe andare se i pinguini assomigliano a questi qui di lato. Alla fine ho dovuto chiedere qualcuno molto più esperto di me (Google) per capire che il segnale in questione indica che non si deve congelare il l'imballaggio. Mi sarei aspettato un bel fiocco di neve sbarrato, un frigorifero chiuso con il lucchetto, un ghiacciolo al limone su sfondo rosso, ma non un pinguino in frack.

Qualcuno potrebbe ora chiedersi: ma insomma in questi cazzo di sei mesi si può sapere che cosa hai fatto al lavoro? O dobbiamo credere che hai bevuto caffè, sconfitto pinguini, mangiato biscotti, cioccolata e trucidato l’intera popolazione mondiale di orsetti gommosi mentre disegnavi con i pastelli a cera scrivendo (con una calligrafia illeggibile) parole in un inglese maccaronico su un foglio di carta a cui sarebbe di certo piaciuto rimanere un albero pur di non trovarsi costretto ad un utilizzo così infame?

Allora significa che ho fallito, sono un pessimo scrittore, non sono riuscito a spiegarmi, non sono riuscito a trasmettervi chiaramente il risultato del mio così duro ed arduo lavoro.
Potrei chiedere al capo, per una ulteriore conferma, per capire come essere più chiaro, ma rischierei di confondervi ancora di più visto che settimana scorsa ho cambiato i neon in tutti gli uffici, perché ero l’unico alto abbastanza.



Post Scriptum: per chi volesse saperne di più sugli orsetti gommosi consiglio questo post.



... e sémm partii,
cum i tócch de védar de un büceer a tócch,
una vita nœva quänd finiss el maar
mentre qéla vœgia la te pica i scpáll ...

Saturday, October 10, 2009

Just my two pennies worth.


Ed eccomi a riproporre la mia nota di approfondimento sulla politica italiana. Non interessa a nessuno? Esatto, è per questo che, come dice il titolo, la mio opinione vale solo un paio di penny (“My two cents” in USA o “un soldo bucato” in Italia).
Il 7 Ottobre 2009 i Giudici della Consulta si sono espressi sulla costituzionalità del così detto “Lodo Alfano”, creando con la loro decisione scompiglio, brivido, terrore e raccapriccio.

Per chi non lo avesse capito, o forse dolosamente non glielo avessero ancora spiegato, il suddetto Lodo imponeva con una legge ordinaria, e non di carattere costituzionale, una norma che di fatto avrebbe modificato all’articolo 68 della nostra Costituzione. L’articolo incriminato è quello che riguarda l’immunità parlamentare. L'articolo 68 vigente è in vigore dal 14 novembre 1993, essendo stato modificato con la legge costituzionale n. 3 del 29 ottobre 1993. Prima della revisione costituzionale, per sottoporre un parlamentare a procedimento penale era necessaria l'autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza. Se la Camera negava l'autorizzazione, il parlamentare non era processabile fino alla fine dell'incarico. A seguito del polverone Tangentopolesco (Fa molto Paperopoli o Topolinia questo termine, vero? Rende però l’idea di come sia andato a finire il tutto, nel corso degli anni) durante i primi anni ’90 l’articolo 68 fu modificato come segue, imponendo che «senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza». «Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza». Tutto chiaro?

Il signor Alfano e la sua allegra combriccola di bricconcelli parlamentari di maggioranza hanno pensato bene di reintrodurre l’immunità parlamentare per le quattro più alte cariche dello stato: Presidente del Consiglio dei Ministri (Silvio), Capo dello Stato (Napolitano), Presidente della Camera dei Deputati (Fini) e del Senato della Repubblica (Schifani). Strana coincidenza, l’unico ad avere processi pendenti penali è il leader di maggioranza Silvio Berlusconi.
Ai banchi della difesa, davanti alla Corte Costituzionale, supremo organo di autogoverno della Magistratura italiana, gli avvocati - e parlamentari - Niccolò Ghedini e Gaetano Pecorella, insieme a Piero Longo, improntano il centro della strategia difensiva del Lodo Alfano: "La legge è uguale per tutti, ma non necessariamente lo è la sua applicazione, come del resto la Corte ha già ribadito" è la motivazione con cui l'avvocato Ghedini ha aperto la sua arringa. L'avvocato ha citato come esempio "le norme sui reati ministeriali, dove la legge ordinaria distingue il comune cittadino dal ministro". "Non è possibile rivestire la duplice veste di alta carica dello Stato e di imputato per esercitare appieno il proprio diritto di difesa e senza il sacrificio di una delle due".

Quindi si afferma che essendo le sanzioni inasprite nel caso un ministro commetta un reato direttamente legato alla sua carica, esiste una disparità nella applicazione della legge. Per cui per un Premier che abbia commesso un reato, nel caso venga processato, la disparità nell’applicazione della legge rende il processo stesso incompatibile con la carica di Presidente del Consiglio, ed è quindi il processo a dovere essere cancellato, non il Presidente a doversi dimettere.
Per chi ha letto Orwell, questa è una purissima applicazione del bipensiero; non si discute di una possibile litote dove per esprimere e rafforzare un concetto si nega il suo contrario, ma di un sagace abilità di distorcere la realtà secondo il proprio volere, solo mediante l’utilizzo del verbo.
Insiste Pecorella:
"Con le modifiche apportate alla legge elettorale (voluta da questa maggioranza, n.d.r.) non può essere considerato uguale agli altri parlamentari (il Premier, n.d.r.). Non è un primus inter pares, ma un primus super pares".
Per citare nuovamente Orwell, come ha fatto il britannico “Times” su questa vicenda, questa sembra una frase scippata a “La fattoria degli animali”, libro che non è null’altro se non una spietata metafora del totalitarismo, in cui in una società che predica la totale eguaglianza tra gli animali, si afferma che qualcuno di loro è in realtà “più uguale” di tutti gli altri.

Ho ascoltato un commento a caldo in diretta di una parlamentare del PdL che, difendendo a spada tratta Berlusconi, creava un curioso parallelismo tra quello che fecero i Padri Costituenti introducendo nella costituzione l’articolo 68 e la sentenza di annullamento del Lodo Alfano. Alla domanda “Vogliamo pensare che i Padri Costituenti fossero in torto?” la parlamentare lascia in un “non detto” una sorta di sineddoche in cui ammettendo che l’ex articolo 68 fosse errato, di conseguenza lo sia anche l’intera carta costituzionale. Benché ricordi il suo accento sardo, purtroppo non ricordo il nome della suddetta onorevole. Peccato abbia dimostrato la sua ignoranza. Nel 1946 i tempi erano diversi, e non è revisionismo storico. Dopo il totalitarismo fascista la neonata Repubblica aveva necessità di stabilità, a partire dalla sua cattolicissima classe dirigente. A quel tempo l’immunità era necessaria, purtroppo ci sono voluti cinquant’anni e tangentopoli per permettere la sua revisione. E per fortuna. Perché alla fine degli anni ’40 nessuno dei Padri Costituenti poteva vere la lungimiranza, senza passare per un fantascientifico miscredente, di anche solo intuire che i media, con l’avvicinarsi degli anni 2000 diventassero il nuovo oppio dei popoli. Secondo Montesquieu (circa 1750) in un normale stato di diritto il potere supremo è ripartito sotto tre aspetti: il potere esecutivo, nelle mani del Governo, il potere legislativo nelle mani del Parlamento, il potere giudiziario che risiede nelle mani della Magistratura. Come forse tutti non sanno, nel XVIII secolo non esisteva altro mezzo di informazione che la carta stampata, peccato che fossero solo pochi fortunati a saperla decifrare. Con l’avvento dell’alfabetizzazione, i poteri, da tre sono diventati quattro. Il quarto potere è quello dei media. Esatto, è a causa dei media che le informazioni sono modificate a uso e consumo del potere, non necessariamente uno degli altri tre. È per questo che il così detto quarto potere può essere più forte di tutti gli altri sotto determinate circostanze. Consiglio ai neofiti la visione del film "Quarto Potere" (titolo originale Citizen Kane del 1941) in cui un non proprio sconosciuto Orson Welles presenta l’inquietante storia ci come un magnate della carta stampata tenti, sfruttando appunto il suo potere mediatico, di farsi eleggere quale governatore negli Stati Uniti e di come a causa sempre del quarto potere non ce la faccia (ok, chiedo scusa per il piccolo spoiler). Come ha scritto Ezio Mauro, direttore de “La repubblica”:

“In una formula - aberrante, e salutata con applausi soltanto in Italia - si potrebbe dire che il Capo dell'esecutivo ha in questo caso usato il legislativo per sfuggire al giudiziario, fabbricando con le sue mani e con quelle di una maggioranza prona un salvacondotto su misura per la sua persona, in modo da mantenere il potere senza fare i conti con la giustizia.”
Io ci aggiungo solo che il nostro capo del governo mantiene nelle sue mani non due su quattro, ma ben tre su cinque poteri: quello esecutivo, quello legislativo ed in maggioranza quello mediatico. Il potere giudiziario pare saldamente in mano alla sinistra (pare vietato ammettere che sia imparziale, vero?), ma il QUINTO potere?
Esiste,eccome, da almeno duemila anni. Nel passato erano i papi ad incoronare gli imperatori, la religione non è null’altro che una sorta di potere mediatico esercitato per mezzo della superstizione, professata in tetri luoghi capaci di accogliere centinaia di persone per volta. Ebbene, grazie agli scandali dell’Estate anche la Chiesa gli ha voltato, con riluttanza, tatto e lungimiranza, le spalle.
Verrebbe da chiedersi perché. Perché si ostini a rimanere attaccato al potere con il sangue, i denti e pure le unghie dei piedi. È semplice, lo afferma ineccepibilmente Giuseppe D’Avanzo di nuovo su “La Repubblica”:
“La politica, per Silvio Berlusconi, è nient'altro che il modo più efficace per accrescere e proteggere il suo business. È sempre stato così fin da quando, neolaureato fuori corso in giurisprudenza, si dà agli affari. Forte di legami politici con le amministrazioni locali e regionali - e qualche "assegno in bocca" - diventa promotore immobiliare. La politica gli consente di tenere a battesimo, fuori della legge, il primo network televisivo nazionale. La collusione con la politica - la corruzione d'un capo di governo e il controllo di ottanta parlamentari - gli permette di ottenere, dal presidente del consiglio corrotto, due decreti d'urgenza e, dal parlamento, una legge che impone il duopolio Rai-Fininvest. Non proprio un prometeo dell'economia, nel 1994 è in rotta e fallito (gli oneri del debito della Fininvest - 4000 miliardi di lire - superano l'utile operativo del gruppo).
Ha perso però i protettori travolti dal malaffare tangentocratico e s'inventa "imprenditore della politica" convertendo l'azienda in partito. E' ancora la politica che gli consente di manomettere, con diciassette leggi “ad personam”, codici e procedure per evitare condanne penali per un variopinto numero di reati (falso in bilancio, frode fiscale, appropriazione indebita, corruzione) fino all'impunità totale della "legge Alfano" che gli assicura un parlamento diventato bottega sua.”
Si, certo, manca la parte dell’eroe Vittorio Mangano, ma se ci mettiamo la Mafia come sesto potere, l’Italia diventa peggio di una barzelletta. Facciamo come ormai fan tutti: facciamo finta che la mafia non esista.
Ma Berlusconi è una vittima? Certo, è solo vittima di se stesso: ognuno, prima o poi, ha quel che si merita. Egli è solo vittima delle sue azioni passate: la torbida compravendita di diritti tv, la corruzione giudiziale nel lodo Mondadori per scippare a Carlo De Benedetti (oggi proprietario del gruppo Repubblica-L’Espresso) la più grande casa editrice italiana. Insomma, una resa dei conti tra nemici giurati. Per tornare al 4 potere, purtroppo (per Silvio), o per fortuna (de “La Repubblica”), pare non essere ancora del tutto nelle mani del Premier. I tempi quindi sembrano maturi, la campagna mediatica della stampa non ancora nelle sue mani lo incalza, la Chiesa fugge a gambe levate alzando l’abito talare e mostrando livide gambette scarne senza il minimo segno di biancheria intima, la stampa internazionale lo bacchetta, le escort non se lo filano più. E l’opposizione che fa?

L’IdV attacca il Capo dello Stato, talmente impegnati nel loro giustizialismo da dimenticare che in Italia non esiste il diritto di veto. Che vergogna. Napolitano, insieme a Fini, sono le uniche persone ad essere venute fuori senza il minimo ammacco da questo pandemonio, il primo firmando il Lodo Alfano, il secondo bacchettando da vero super partes la coalizione dalla quale proviene.

Il Partito Democratico? Se anche ha una parte in questo caos (i famosi “scossoni al Governo” teorizzati da D’Alema a pochi giorni dagli scandali delle escort, mi spiace per tutti ma non potevano essere un caso) il PD ha semplicemente dimostrato la sua deficienza politica, mettendo in ginocchio Berlusconi e la politica che egli rappresenta nel momento sbagliato, usando (finalmente) i mezzi sporchi che non aveva avuto il coraggio di usare ai tempi della Bicamerale, ai tempi di D’Alema Presidente del Consiglio, ai tempi in cui si discuteva di conflitto di interessi. Certo, il momento non era opportuno: come si può pretendere di conquistare il potere e demolire un avversario senza avere né un leader, né una linea politica condivisa? Idioti...

Ecco che lo spettro del quinto potere si rifà avanti, come un cancro tra le file del Partito Democratico, i maledetti Teodem fanno le prove con l’UDC per una nuova Democrazia Cristiana e relegare di nuovo il potere temporale nelle mani di un Dio la cui dubbia utilità è ad uso e consumo della casta ecclesiale.

La sinistra radicale, orfana delle polo Lacoste del vecchio Bertinotti, si è ormai guadagnata l’attributo di extraparlamentare. Qualcuno le dica che i tempi di Berlinguer sono finiti.

E nella maggioranza?

Il PdL ovviamente si schiera, chi con Fini, chi con Silvio.

Le parole di Bossi non meritano, invece, il minimo commento.

In tutto questo calderone si inserisce anche la legge per il rientro dei capitali dall’estero. Nient’altro che un regalo a mafiosi, corrotti e farabutti pur di tentare di raschiare il fondo di un barile il cui fondo non esiste più, da quanto è stato raschiato a fondo.

Infine, per quanto riguarda la politica internazionale, trovo alquanto pazzesca l’investitura, se così si può dire, a “paladino della pace” di Barak Obama. L’uomo più potente della terra ha avuto almeno la buona grazia di arrossire e dichiarare che “non è sicuro di meritare” il Nobel assegnatogli. I casi sono due: o i gentiluomini della accademia di Svezia avevano bisogno disperato di una pubblicità gratuita, per sentirsi ancora sulla cresta dell’onda con ancora il vento a scompigliare le canute barbette; oppure veramente nell’ultimo anno nessuno ha voluto la pace più del capo di stato del paese che continua ad ammazzare gente in Afghanistan ed Iraq e che permette al suo interno di mantenere la pena di morte. In questo caso, il mondo è proprio allo spasimo. Ma forse è solo un premio che racchiude un auspicio per il futuro, nel quale non resta che sperare.

Detto ciò, mi ritiro per deliberare insieme ai miei amici sinistroidi Giudici della Consulta. Perlomeno, nove su quindici. Insieme al 72% della stampa italiana a cinque televisioni nazionali su sei del tutto schierate contro il Premier, insieme a Fini che è troppo schifosamente fermo nel suo ruolo istituzionale per essere stato in passato leader della Fiamma Tricolore ed infine al Capo dello Stato, un ex comunista salito al potere spolpando pargoli e bevendo sangue di vergine dai teschi di massoni decaduti. Insomma tutti gli ingredienti per un bel PARTY!!!



Date retta a me: alle prossime elezioni votate scheda nulla.



“LA GUERRA È PACE

LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ

L'IGNORANZA È FORZA.”

George Orwell, “1984”. Data di prima pubblicazione 1949.

Sunday, September 27, 2009

Lezioni di lingua tedesca


Avvertenza: questo post contiene disquisizioni di carattere puramente grammaticale che riuscirebbero a causare un'occlusione intestinale ad un cadavere e che, quindi, potrebbero farvi rimpiangere la buona vecchia scuola dell'obbligo.


Come ho già avuto modo di accennare, la Tedeschia sembra essere costantemente invasa da Germanesi e, quindi, risulta necessario l'apprendimento del Germanico, la loro lingua madre.
Diciamocelo: di primo acchito può sembrare una lingua cazzuta. Poi, piano piano, quando si inizia a studiarla seriamente, si frequentano delle lezioni, si comincia a proferire qualche parola, si comprende appieno la cazzutaggine di tale idioma. Se il latino ha prematuramente lasciato questo mondo a causa della sua complessità e delle sue declinazioni, non mi spiego come il Germanico sia riuscito a sopravvivergli. Qui si declina di tutto e di più: i verbi, gli aggettivi, gli articoli, i pronomi. A seconda dei casi (nominativo, accusativo, genitivo, dativo) il verbo, aggettivo, articolo o pronome subisce una variazione minimale, ma che è sufficiente a mandarti in completa confusione. Non solo, ci sono una infinità di particelle che attaccate al verbo gli fanno cambiare significato e che all’interno delle frasi un po’ più complesse si muovono a destra ed a manca senza ritegno alcuno né rispetto per chicchessia. Ad esempio? Il verbo “machen” (fare). Bello, mi piace. Ma se ci aggiungo “zu” (zumachen) mi diventa “chiudere”, se ci metto un bell’ “auf” (aufmachen) vuole dire “aprire” e con uno splendido “aus” (ausmachen) diventa “spegnere”. Inoltre queste particelle possono essere messe attaccate al verbo o alla fine della frase, cambiando ovviamente il significato del verbo stesso! Ma non è ancora finita, per dire aprire si usa anche “öffnen” e per chiudere si usa il buon vecchio “schließen”, mica vorremmo correre il rischio di fare confusione, no?
Suona terribilmente complicato? Aspettate di leggere il resto.


Ci sono quattro lettere di cui il buon vecchio idioma Germanico va tutto fiero, un po’ come lo spagnolo va fiero della sua ñ:
“ö” si pronuncia come nel nostro varesotto, una bella “o” chiusa.
“ä” si pronuncia “è”
“ü” il solito varesotto con la “u” chiusa e stretta
“ß” è una semplice doppia “s”, gli svizzeri, dall’alto della loro intelligenza hanno pensato bene di eliminare sto carattere inutile e scrivere due volte la “s”. Questo fa enormemente incazzare i Germanesi che dichiarano senza indugio alcuno che, a causa di ciò, per capire uno svizzero che parla tedesco hanno bisogno dei sottotitoli anche in-real.
Nonostante le assonanze letterali e fonetiche con il miglior dialetto lumbaart, non provate a dire che in estate avete kált, perché ti guardano tutti male. Qui al massimo un po' di Kalt lo puoi avere in pieno inverno, quando le giornate sono corte, la media è intorno ai meno dieci e devi scalare la cascata di ghiaccio ed uccidere l’orso polare per rientrare in casa dalla finestra, a stento raggiungibile nonostante i quattro metri di neve.


Ma in fondo il tedesco è facile. La prima regola che ti insegnano è che il verbo è al secondo posto nella frase, sempre e comunque. A parte nelle domande, che è sempre per primo, a meno che non sia una w-frage, perché allora è sempre secondo o a meno che il tempo non sia composto, perché in questo caso va spezzato in due, l’ausiliare (o il modale) secondo e il resto alla fine; certo se ci fosse una frase subordinata, che non rispetta affatto questa facilissima regola di posizionamento verbale, il verbo della frase subordinata, appunto, va messo alla fine, anche se è composto, credo... Chiaro e limpido, vero?
Poi ci sono i pronomi tutti declinabili, il pronome relativo che è fatto dall’articolo stesso, dei fantomatici pronomi definitivi che mi fanno un po’ paura, uno strano complemento oggetto che a causa delle preposizioni si fotte gli altri complementi rendendo necessaria la declinazione, un bellissimo articolo negativo (kein/e), sei verbi modali e, last but not least, il fenomeno dell’agglutinamento (o agglutinazione?) delle parole!


Il Germanico è una lingua agglutinante, non vuole necessariamente dire che contenga glutine, bensì che parole diverse si uniscono a formare tante nuove parole dalla lunghezza allarmante. Esempietto facile-facile: “Fahrkartenschalterhalle” che sta un po’ a significare androne-dove-si-trovano-gli-sportelli-per-fare-i-biglietti. Ma quanto sono avanti in Tedeschia?
Un consiglio? Non usate mai la parola “ovvio” in tedesco: selbstverständlich, che non centra un cazzo con l’agglutinamento, ma usare una parola talmente cazzuta per dire una enorme cazzata, è fuori da ogni raziocinio. Non la utilizzerò mai.


Esiste la possibilità che dobbiate chiedere che ore siano. Ebbene in Germanico le parole giuste da usare sono “Wie spät ist es?”, peccato che tradotte letteralmente vogliano dire “Quanto tardi è?”. A me va bene lo stacanovismo tedesco, ma questo è puro pessimismo storico della loro classe dirigente, che si crogiola nell’autocompiacimento facendo credere ai sottoposti che sia sempre tardi, potendo urlare con un fare da Führer, la loro locuzione preferita: “Schnell, Scheiße ... Schnell!!!”.




Se mai qualcuno mi dovesse chiedere quanto tardi si sia fatto, prometto solennemente di rispondergli con qualcosa del tipo “Non saprei, ma non è affatto tardi...”


Anche i numeri Germanici si comportano in modo strano. Tranquilli, anche qui vige il sistema metrico decimale e ogni buon Germanese sa contare fino a 10 usando le dita delle mani e fino a 20 usando quelle dei piedi; un buon ordine di grandezza in più rispetto a noi italiani che senza una calcolatrice sappiamo contare sino a uno, ma solo perché ragioniamo con il pisello. I bambini qui però non giocano ad un, due, tre – stella, ma ad eins, zwei, drei – Polizei, perquotendo il malcapitato che non si ferma in tempo con carnosi manganelli di legno con incisa una croce uncinata. Ma torniamo ai numeri: se fino al 20, bene o male, abbiamo imparato che ogni lingua segue una anarchia tutta sua (italiano e tedesco compresi) qui ci troviamo davanti all'apoteosi del non senso. Anche in questo caso è l'ordine naturale delle cose ad essere cambiato. Dovete dire “ventuno”? Preparatevi a dire uno-e-venti, tutto attaccato: einundzwanzig.
Il climax si raggiunge al 555 che si legge fünfhundertfünfundfünfzig. Una overdose di "u" che condannerebbe dritto alla dannazione eterna il più pio dei linguisti neolatini.




Dulcis in fundo, se vi dovesse capitare di finire in Cruccolandia tenete bene a mente le tre frasi più importanti per il neofita:
1_ Ich spreche kein Deutsch. (Traduzione letterale: “Io parlo nessun tedesco”)
2_ Ich verstehe nicht. (Traduzione letterale: “Io non capisco”)
3_ Deine Busen sind riesig. Mochtest du ficken? (Traduzione letterale: “Le tue tette sono giganti. Ti andrebbe una scopata?”)
Purtroppo erano anche le uniche frasi ben incise nella mente dell’idolo Giovanni Trapattoni, che durante la sua fantastica avventura in Germania al Bayern finì la sua intervista-scandalo con un fantastico “Io sono finito” (Ich habe fertig) piuttosto che dire “Io ho finito”, diventando un cult per i giovani tedeschi ed anche per la Gialappa’s.



P.S. Ho tentato in tutti i modi di trovare sul web la celeberrima “Ipse Dixit” che la Mai Dire Gol fece nel ’98, appunto della conferenza stampa del Trap a Monaco, ma la mia ricerca non ha dato risultato alcuno. Possibile che in quell’immenso mare di informazioni che è il World Wide Web, questo pezzo di storia del calcio sia andato irrimediabilmente perduto?



"L’Italia è un Paese in cui vige un «fascismo light» che non mi piace per niente. L’Italia è un incubo da cui mi auguro gli italiani si sveglino presto. L’Italia è il Paese che amo."


Daniele Luttazzi.

Monday, August 24, 2009

Aktualisierung von Berlin


Sono già passati tre mesi da quando ho lasciato l’Italia, la metà del mio Probezeit è già arrivata e con essa si sono volatilizzate anche le prime dodici settimane di corso di tedesco. Solo tre mesi, ma mi sembra già trascorsa una vita da quando lavoravo in Finmeccanica, quando l’Estate era agli inizi, quando non sapevo una parola di germanese. Ebbene qui l’Estate è bella e che andata, Finmeccanica è solo un ricordo ed il tedesco è difficile da capire, un po’ meno da parlare (senza grosse pretese di correttezza grammaticale, ammesso che si abbia un buon vocabolario).
La scuola alla quale mi sono iscritto sulla carta è buona, non è certo il Goethe Institut, peccato che abbia solo due difetti: le segretarie quando ti parlano sembra che ti prendano per il culo (testuali parole di un compagno bergamasco) e il livello dell'insegnamento è legato (per lo meno nell'Abendkurse, il corso serale) alla competenza e alla voglia di fare dell'insegnante. Per le prime sei settimane il mio insegnante norvegese sapeva fare il suo mestiere, ma la restante metà del corso è stata pessima. L'insegnante era una quarantenne frustrata che basava le sue lezioni sulle fotocopie di un libro degli anni '60, parlava da sola, iniziava dopo e finiva prima dell'orario pattuito. Insomma una copia un po' più femminile del mio insegnante di Inglese delle superiori (quella vecchia spugna di Barozzi, per chi se lo ricorda).
Così, usando come uniche armi la buona volontà, la mia ricevuta di pagamento ed il mio buon senso l'ho fatta cacciare, minacciando di non pagare per altre dodici settimane anche se non sapevo ancora se il mio capo mi avrebbe pagato il corso, in barba agli obblighi contrattuali.
In effetti ha storto un pochino il naso, ma non riesco mai a capire se storce il naso per un motivo particolare o lo storce sempre a prescindere. Fra tre mesi avrò delle risposte.


Intanto sono già in parte entrato nei loro usi e costumi (questo non significa che mi vedrete addobbato in abiti tipici, con bretelle rosse, pantaloncini verdi e camicia bianca). Uso la bicicletta per spostarmi su brevi distanze (per quelle lunghe c'è l'S-Bahn) qualche giorno la uso per andare persino al lavoro e per fare la spesa. È una specie di training, perché a Novembre riporterò la mia amata Golf in Italia. Un motivo in più per lasciarla nel caldo suolo italico per tutto l'anno prossimo è che settimana scorsa mi ha lasciato benevolmente a piedi con la batteria a terra.


La bicicletta comunque risulta comoda per gli spostamenti qui in pianura, indolenzimento delle terga a parte. Come se non bastasse a poche centinaia di metri dalla mia dimora di districano chilometri e chilometri di piste ciclabili, la più famosa elle quali costruita su ciò che rimane della vecchia pavimentazione del Muro (chiamata Berliner Mauerweg) che nel sud della capitale si estende per oltre cinquanta chilometri. In tutta la immensa regione attorno a Berlino ci sono piste ciclabili che ti possono portare ovunque, solcando praterie immense di campi coltivati a orzo, frumento granturco.





Berlino è comunque una città verde. Proprio in centro, di fronte alla porta di Brandeburgo c'è il Tiergarten, una specie di Central Park alla New York. Ci assomiglia molto a quanto pare. ogni mattina gente che fa jogging, porta a spasso i cani, si fa una passeggiata; al pomeriggio c'è chi prende il sole e la sera ci organizzano concerti. È di fronte al Tiergarten (ed a duecentomila persone) che Obama fece il suo discorso durante la campagna elettorale del 2008.





Altro parco cittadino, come avevo accennato nel post passato, è il Mauerpark. Ci ho rifatto un giro nella giornata più calda dell’estate berlinese, in cui si sono sfiorati i trenta gradi, tanto per documentare un po' quanto i germanesi sono entusiasti del karaoke. Da notarsi le ali di folla.













C'è gente che grazie al Mauerpark ci campa. Oltre al tizio che organizza il karaoke (che non solo non si fa pagare, ma se vai a cantare ti offre pure una bottiglia di birra), ci sono veramente tante persone che con il "vuoto a rendere" riescono ad arrivare alla fine del mese. Queste persone (anziane soprattutto) si accaparrano tutte le bottiglie lasciate a terra o buttate nei cestini da chi frequenta il parco. Qui in Germania una bottiglia vuota viene pagata 8 centesimi di euro ed a giudicare da quante ne ha prese il signore in questa foto, forse non ti fanno diventare miliardario, però ti aiutano a mettere qualcosa sotto i denti.





A proposito di cibo: sono migliorato parecchio a cucinare. Pensavo già prima di essere al di sopra della media maschile italiana nell’arte culinaria, ma ora sono paragonabile alla media femminile (ho detto paragonabile, non fraintendiamo).
Sono diventato bravissimo a fare le torte. Grazie alle ricette segrete datemi da mia madre ed un forno a microonde (un must per un uomo single) i nove chili che ho perso il primo mese saranno già per metà recuperati.
Certo, all'inizio non sono mica tutte rose e fiori, i risultati non sono stati molto incoraggianti, anche perché non avevo mai acceso un microonde in vita mia.





Ma il metodo scientifico inventato da Galileo lo si può applicare anche in cucina e così, dopo innumerevoli tentativi andati male sono riuscito a fare ben tre torte da offrire ai miei colleghi per il mio compleanno.





Il capo è stato così entusiasta che mi ha detto che per fare l´ingegnere sono sprecato e che magari mi converrebbe cambiare lavoro. Tenendo conto che sono ancora in prova non suona molto bene.


Ma cosa mangia di solito un uomo single italiano in quel di Berlino?
La colazione è leggera, una fetta di torta e una tazzina di caffé (moka rigorosamente). A mezzodì un panino dall'aria sorridente (foto) in cui vario diversi formaggi e bratwurst tipicamente tedeschi.





La sera carne e contorno tipicamente fagioli, piselli, carote, patate con cipolle sugo e un pochino di aglio. La pasta solo nel weekend perché è troppo lunga da cucinare.
Prossimi passi? Il risotto, la purea, la polenta (senza paiolo di rame però) e qualche leccornia a base di carne, chessò, anatra alla arancia per esempio. Così, nel caso riuscissi con l'inganno a invitare una ragazza a cenare a casa mia, non si potrà mai dire che "Nel bel mezzo di una cena romantica, lei è scappata a gambe levate perché lui le ha offerto una Simmenthal".


Per rimanere in ambito culinario ho fatto il gravissimo errore di accettare del cibo da degli sconosciuti. Beh in effetti l'ho accettato dalla padrona di casa, ma il risultato rimane che è stato un errore.
Perché? Perché ho accettato a mani basse una vomitevole Möhrensuppe (zuppa di carote) dal colorito giallognolo che la mia padrona di casa cucina almeno due volte a settimana in enormi pentoloni e di cui si riempie la pancia.
A parte il colore, che mi ha fatto capire cosa intendesse il Chunk de "I Goonies" per "ho fatto una bottiglia che sembrava vero vomito", e l'odore, mi è passata la voglia di assaggiarla quando con la forchetta ho esaminato il contenuto ad altissimo contenuto di aglio in spicchi semi interi.





Inutile dire che fine ha fatto la suddetta Möhrensuppe...





Ogni settimana la signora si presenta con la zuppa in questione ed ogni settimana io la faccio passare per il lavandino. Non posso mica dirle che mi fa cagare... D'altro canto spero che la enorme quantità di pezzi d'aglio non intasi un giorno lo scarico.
In compenso settimana scorsa è riuscita a rifilarmi ben due pietanze: la solita roba giallognola e dei fagiolini saltati in padella con del petto di pollo. Questi ultimi assolutamente mangiabili, anzi, addirittura buoni! Peccato sia riuscita a mettere la cigliegina sulla torta fornendo annche due accessori supplementari: del limone da aggiugere spremuto alla zuppa (a detta sua per renderla più buona, ma il risultato non è cambiato) ed un vasetto di yogurt bianco da aggiungere ai fagiolini!





La fine che ha fatto la Möhrensuppe la conoscete già; i fagiolini, invece, me li sono mangiati da soli e lo yogurt come dessert.


“Sei un coglione.”
“E perché mai?”
“Non lo so, ma mi piace dirtelo.”

Sunday, July 05, 2009

My First Impression of Berlin


Dopo un mese in Tedeschia è finalmente giunto il momento di stabilire un bilancio: nel giro di 3 mesi mi sono lasciato l’Italia alle spalle, ho mollato il lavoro, la famiglia, gli amici, la morosa no perché non l’avevo; ho cambiato stato, nazione, città , lavoro, tutto in un tempo troppo breve per rendersene conto del tutto. Finalmente vivo per conto mio.

Certo, il micro appartamento che è diventata la mia lussuosa dimora ha il soffitto che è alto solo un centimetro più di me, un’odiosissima moquette in camera da letto ed uno squallido linoleum in cucina, nulla che somigli vagamente a delle persiane o tapparelle, ma, nonostante per questo mi svegli ogni mattina alle 5.30, devo dire che mi trovo proprio bene. Inoltre il prezzo è basso, pago solo 350 euro al mese, compresi internet, riscaldamento, elettricità, telefono (solo per le chiamate in Tedeschia)e uso anche la lavatrice della padrona di casa. Stiro, lavo, pulisco, cucino ed all’occorrenza cucio e rammendo; tutte cose che sono alla portata dell’ingegnere medio, anche se non ha fatto il militare, perfino stirare le camicie. E pensare che conoscevo un essere pieno di boria che alla veneranda età di 23 anni non sapeva PIEGARE le camicie e si faceva TAGLIARE LE UNGHIE DEI PIEDI DALLA MAMMA.
Ad ogni modo la cosa più problematica del vivere da solo, che necessita quindi di una certa dose di esperienza, riguarda il fatto che le lenticchie raffigurate sulle confezioni di cibo in scatola sono pericolosamente simili ai fagioli. Un altra cosa da tenere a mente è la scadenza dei cibi. Chi lo sapeva che la passata di pomodoro, una volta aperta, va consumata dopo tre giorni? Insomma è scritto sull’etichetta, ma decisamente troppo in piccolo. E poi la scritta dovrebbe lampeggiare per attrarre l’attenzione del consumatore disattento. Se fossi ancora in Italia mi rivolgerei ad qualche associazione di consumatori. Invece sono in Tedeschia e quindi posso garantire che la passata aperta da una settimana e mezza, è ancora buona. Idem i wurstel scaduti da sei giorni (ecco perché costavano così poco) Cercherò una associazione di consumatori germanese che imponga la veridicità delle scadenze. Il pane per fare i toast invece se lo tieni oltre il terzo giorno dalla scadenza fa la muffa. Mi viene proprio voglia di rivolgermi ad una associazione di consumatori... In genere a mezzogiorno mangio i toast che mi preparo il giorno prima, ma il mio capo è solito andare a prendere kebab per tutti quelli che lo desiderano e che pagano, ovviamente. A me piace parecchio (poi per 2.50 euro mangi almeno mezzo chilo di roba) solo che è un po’ pensantino e dopopranzo mi sale l’abbiocco. Così mi limito a due kebab a settimana... Il problema è che con l’andare del tempo potrebbero anche uccidermi... Morire fagocitato dalla propria ulcera perforante non è decisamente una fine degna.
La cosa più importante rimane comunque il fatto che ho cambiato lavoro. Finalmente non mi gratto le palle 8 ore al giorno, anche se capita a volte che abbia spremuto troppo le meningi e l’ultima oretta la passi in trance davanti al monitor, con lo sguardo vacuo e la bava alla bocca. Finalmente faccio l’ingegnere elettronico e mi becco anche un bello stipendio, a chi cazzo interessa diventare un manager? Meno male che non costruisco più missili ;) La prima cosa che mi hanno dato, ancora prima di iniziare a lavorare, sono stati i biglietti da visita, da sperperare al vento.

L’azienda, nonostante sia una piccola realtà (siamo in 11), è leader nel Photon Counting (questo sconosciuto) ed ha una forte base multietnica. Ho un collega polacco, uno russo ed uno di origine cinese. Si parla inglese, ovviamente, e devo dire che nell’ambiente lavorativo in Germania, credo si possa fare a meno della lingua tedesca. Comunque sto frequentando un corso base due sere a settimana. Dopo un mese so dire i numeri e li capisco (il più delle volte) ed ho un vocabolario che raggiunge addirittura le 30 parole. L’altra sera ho speso un’ora e mezza per scrivere una mail alla padrona di casa, che a quanto ho capito è andata in un centro benessere, per chiederle quando torna. Un’ora e mezza per scrivere dieci righe. Non sembra, ma è difficile esprimere concetti sapendo coniugare solo il presente dei verbi e nessun tempo composto...
Come se non bastasse l’altra mattina ero sull’S-Bahn (la metropolitana di superficie che mi porta al lavoro) e stavo leggendo un libro sulla mia PSP, quando è salita una mandria di piccoli germanesi, avranno avuto al massimo 7 anni. Ovviamente erano molto interessati al mio giocattolo ed hanno cominciato a parlarmi. Io non capivo loro, e loro non capivano me quando tentavo di districarmi con le poche parole che conosco. Insomma, se non riesco a farmi capire nemmeno dai bambini, che speranze ho di abbordare una ragazza? Alla fine, raggiunta la mia fermata, sono fuggito a gambe levate lasciandomi alle spalle una frotta di bambini additanti.
La Tedeschia comunque è proprio una strana terra: non si vede gente di colore in giro e ci sono strane stelle gialle sulle giacche di alcuni individui. Per me sono spazzini o roba simile. Strano che non si veda in giro nemmeno un ebreo, mah... Le donne sono alte e bionde, gli uomini sono alti e biondi, tutti con gli occhi azzurri; i bambini sono anche loro biondi, alti pure loro, con gli occhi di ghiaccio e ti salutano in modo strano, alzano la mano tesa a 45° facendo un “Sieg Heil!” che lascia ben poco spazio all’immaginazione.



Ovviamente sto scherzando. Berlino è una città multiculturale, c’è la più alta concentrazione di Turchi dopo Istanbul ed è per questo che i Kebab sono a buon prezzo, giganti, unti quanto basta e di una bontà divina (anche se in genere sono considerati la via più breve per l’obitorio, dopo la classica revolverata alla tempia).
Qui sono tutti in fibrillazione per il ventennale della caduta del muro (vacca Eva, vent’anni) che si terrà il 9 Novembre. In tutta la zona centrale della città, davanti alla Porta di Brandeburgo, al Reichstag, a Potsdamer Platz, c’è una linea di mattoni per terra, che prosegue e taglia strade, edifici, piazze. É la linea dove c’era il muro fino al 1989.



In Potsdamer Platz, di fronte al Sony Center ed al grattacielo della Deutsche Bahn ci sono cinque o sei pezzi di muro, solo per fare da attrazione ai turisti. Devo dire che lo facevo più grosso, più spesso e più alto. Forse però erano i bunker e le torri di guardia della “linea della morte” ad essere il maggiore espediente. Mi sono un po’ smarrito nel vedere quella striscia di mattoni che taglia la città nel mezzo. Pensare che praticamente da un giorno all’altro gli abitanti di una Berlino non avessero più la libertà di muoversi non solo nel loro stato, ma nella propria città, pensare che i treni che passavano a cavallo del muro ed entravano nel territorio controllato dagli Alleati, non si fermassero alle stazioni. Insomma, mi ha fatto un certo effetto scattare questa foto.



Nonostante questo però i Berlinesi sono rimasti uniti; i tedeschi, in barba alla Guerra Fredda, ai russi ed agli americani, alle crisi dei missili ed alla Cortina di Ferro, sono rimasti un popolo unito. Alexanderplatz è per buona parte occupata da info-point sulla storia del Muro, con grandi striscioni che evocano le date più importanti e la scritta “Wir sind ein Volk” (noi siamo un unico popolo) campeggia ovunque. C’è un percorso interattivo tra i cartelloni che spiega (in tedesco ed in inglese) la storia di come si è arrivati alla costruzione ed all’abbattimento del muro. Poi c’è una vetrina in mezzo a tutto questo, con qualche cimelio storico. E guarda guarda che ho scovato.



Un mitico Amiga500! Lo stesso che ho ancora in camera mia e al quale giocavo ai videogiochi quando avevo si e no sei anni. Lo stesso monitor, gli stessi tasti. La didascalia dice: “Dall’Estate del 1988 la Biblioteca Ambientale di Berlino Est lavorò con un computer Amiga500 –una donazione del partito Alternative List di Berlino Ovest – iniziata da Roland Jahn. Questa nuova tecnologia permise la distribuzione di decine di migliaia di volantini e proclami di opposizione al regime nel rivoluzionario autunno del 1989.”
Fa un certo effetto pensare che mentre io ci giocavo a Golden Axe, la gente usava lo stesso Amiga500 per qualcosa di così importante.
A poche centinaia di metri da Alexanderplatz, al di là (o al di qua) del muro c’è i monumento che non potevo non visitare. C’è un parchetto, con qualche aiuola e qualche alberello. Al suo centro ci sono due statue di bronzo.



Due individui canuti che scrutano ad est. Uno in piedi ed uno seduto, abbigliati in lunghi impermeabili, hanno lo sguardo perso in lontananza alla ricerca di qualcosa che son sicuri che non potrà essere dimenticato facilmente, alla ricerca del sogno che hanno concepito, che sembra un’utopia, ma che alla fine non si è rivelato inutile. È stato inseguito da molti, è stato ed è ancora oggi sfruttato da troppi.
Certo anche qui il capitalismo e la concorrenza sono arrivati a mietere le loro vittime, anche tra i venditori ambulanti di wurstel.



Insomma! Quello arancio aveva anche la banderuola! Io ne avrei comprati due per par condicio.



Prima di venire qui non avevo mai visto un monumento che potesse essere anche classificato come trappola mortale. Sto parlando del Holocaus-Mahnmal. Il monumento è un memoriale di fianco alla Porta di Brandeburgo che dovrebbe essere considerato un monito per le future generazioni, per non dimenticare la Shoah. Ok, ma a prescindere dal significato profondo, è anche una trappola mortale. Si compone di qualche migliaio di steli di calcestruzzo di diversa altezza, tra le quali ci si può camminare o, per i più intrepidi, possono essere scalate. Il problema è che le vie tra una stele e l’altra sono ad angolo retto e, fino a prova contraria, il calcestruzzo non è trasparente. Ebbene, sfido chiunque a percorrerlo senza rischiare di andare a sbattere contro qualcuno che sbuca da una via laterale. Potrebbe essere un buon modo per fare nuove conoscenze, a parte i lividi, si intende.



Berlino è una città piena di artisti, anche la mia padrona di casa lo è. Fa foto e filmati alternativi, mostre fotografiche e di quadri (Questo è il suo sito). Diciamo che qui si respira un rimasuglio della rivoluzione culturale del ’68. Ogni Domenica al Mauerpark (Parco del Muro) c’è un mega mercato delle pulci dove si può trovare un po’ di tutto: roba usata, usatissima, seminuova, etc. etc. Tra lo stadio ed il mercatino, su una collina, è rimasto un pezzo di Muro abbastanza lungo che è ovviamente preda dei migliori graffitari in circolazione. Sul prato antistante, se il tempo lo permette, si riuniscono ogni domenica almeno un migliaio di persone (non esagero); c’è chi compra, chi vende, chi suona (con tanto di amplificatori, microfoni e spie), poi ci sono concerti organizzati davanti ad un piccolo anfiteatro ricavato nella collina, cibo e birra in abbondanza, artisti e giocolieri, punkabbestia, c’è uno che fa il karaoke che a quanto mi hanno detto è richiestissimo dai tedeschi e addirittura un ragazzo che con una borsa piena di utensili e chiavi di ogni genere ti sistema la bicicletta lì, sul prato, in cambio di pochi euro. Con il fatto che qui c’erano solo il Muro e qualche centinaia di metri di terreno (ok, la "Striscia della Morte") a dividere la libertà dal totalitarismo, credo che anche la politica abbia spinto per mantenere un certo grado di anarchia e libertà intellettuale sempre comunque all’interno del rigore e del raziocinio tipico dei tedeschi. Qui non c’è niente fuori posto, ci si muove da una parte all’altra con i mezzi pubblici che sono ramificatissimi, puntuali e puliti. Io mi muovo principalmente con l’S-Bahn e la mia Golf mi devo costringere ad accenderla almeno una volta a settimana, per non farle fare la ruggine. Prima di Dicembre credo proprio che la riporterò in Italia e pagherò solo i 200 euro di bollo per il 2010, ne risparmierò, così, 1000 di assicurazione -.-'' Meno male che non ho fatto la scemata di prenderla nuova.
Qui hanno tutti la bicicletta, la caricano sopra il trenino e, con la pioggia o con il vento, raggiungono la fermata più vicina all’ufficio o vanno a fare la spesa. Ok da valutare che succede durante i mesi invernali,ma secondo me la storia non cambia. Basti pensare che con il tempo folle che si ritrovano, anzi, che ci ritroviamo, con quindici gradi te li vedi in giro in maglietta e pantaloncini o gonna senza calze ed infradito. Qui c’è sempre vento, è un background a cui mi devo ancora abituare. I primi giorni di lavoro i miei colleghi erano in maglietta ed io in camicia, maglione di cotone e giacca. Non vi potete immaginare quando è piena Estate (come oggi, venticinque gradi) che scollature e che decolté si vedano in giro. Non so perché ma qui le donne sembrano tutte delle gran gnocche, bionde per la maggior parte ma anche le more non scherzano affatto. Insomma i paese dei balocchi per ogni maschio-alfa. Peccato che io sia un maschio-omega, ma non puntualizzerei.
Sapevo che la cosa più difficile di questa avventura in Germania non sarebbe stato il nuovo lavoro, non sarebbe stata la lingua, non sarebbe stata la vita da solo, ma la cosa per me più difficoltosa è trovare nuovi amici, fare nuove conoscenze. Purtroppo la scuola di lingua non è sfruttabile gran che da questo punto di vista. La gente va e viene con troppa velocità, per lo meno per me. Memore del consiglio di mio padre: “Se vuoi fare nuove amicizie devi andare in chiesa... Si che le figlie di Maria sono le prime a darla via.” (testuali parole) Domenica scorsa sono andato in chiesa. Era piena di giapponesi che suonavano il violino. Il più piccolo aveva penso 3 anni il più anziano sui 10. In verità ero stato invitato da una mia compagna di corso sessantenne giapponese, al saggio dei suoi allievi. Il famigerato “Metodo Suzuky” consiste in 78 ore a settimana di meditazione con un violino in bilico sulla testa stando sotto una cascata di acqua gelata, cilicio e fustigate due volte al mese e esercizi fisici tostissimi. In verità quando ho sentito parlare di Suzuky ho pensato che al saggio finale i bimbi dovessero suonare il violino mentre sfrecciavano di traverso con un motard o facevano una penna stile Valentino Rossi. Invece ‘sti pischelli alti un soldo di cacio se la suonavano da Dio, impressionanti. La cosa più divertente è che il metodo Suzuky imponga un coinvolgimento anche dei genitori, almeno uno di dei due. Anche loro prendono lezioni con i figli senza un loro strumento ma usando quello dei loro pargoli. Non pensavo effettivamente che esistessero violini di dimensioni così ridotte. Ebbene a metà del saggio, il palco si è svuotato dei ragazzini e sono saliti i genitori, con i violini microscopici dei figli ed hanno intonato tutti insieme un motivetto orecchiabile. Fantastico!
Peccato che mi sia dimenticato di fare una pregatina, così il Signore non ha accolto la mia supplica e non ho visto nemmeno una figlia di Maria. Che ci vuoi fare, mi vuole male :)





"Ogni uomo è in potere dei suoi fantasmi, fino al rintoccare dell'ora in cui la sua umanità si desta."

Tuesday, June 09, 2009

Che cosa mi manca dell’Italia.


Essendomi trasferito a Berlino da ben 10 giorni comincio a sentire la nostalgia dell’italico suolo. Infatti non so proprio come farò ad andare avanti, sono un nostalgico sentimentale.




Mi manca il BIDET!


Qui è dura senza, il tempo è poco, con tutte le faccende da fare in casa (lavare, stirare, pulire, cucinare) e mi tocca pure fare un paio di docce in più al giorno senza bidet...
A parte questo non mi manca nulla. Certo, Nulla. Perché in Italia non è rimasto più nulla: non c'è più la mezza stagione, non c'è più religione e non ci sono più le belle canzoni di una volta (Marco Carta docet). Non solo, in Italia ci siamo persi un altra cosa ancora più importante: la Politica. Il Bel Paese è ormai in ginocchio sia dal punto di vista morale che culturale e la televisione occupa il ruolo fondamentale in questo rimbambimento generale. La gente ormai pensa più ai reality show che alla vita vera e propria, indebitandosi per comprare l'iphone o l'lcd da 45 pollici solo per vedere le partite di calcio in pay per view, si veste Cavalli o D&G per poi accorgersi di non arrivare a fine mese, magari perché non ha calcolato che il mutuo è a tasso variabile e la rata questo mese è aumentata a dismisura. Tutto questo solo perché i mass media impongono determinati usi, costumi, esigenze che non sono necessarie. Come si suole dire: il troppo stroppia. La mia è una critica generalizzata alla nostra classe dirigente, non mi fermo alla destra o alla sinistra, al nord o al sud, ai cani o ai gatti. Come si fa a considerare credibile un paese in cui c’è voluta la campagna elettorale delle elezioni Europee per costringere il già più volte capo del Governo a partecipare PER LE PRIMA VOLTA alla manifestazione del 25 Aprile; in cui Storace chiede il vitalizio anche per i Repubblichini di Salò; in cui si candidano veline, letterine, letteronze, e Mastella? Come si fa a credere ancora in una classe politica che con i soldi dei contribuenti si compra le ville in Kenia, che da una parte esibisce fotografie dei festini privati del premier a due giorni dalle elezioni e dall’altra si mette a brindare
al compleanno di una certa diciottenne mezza rifatta che gioca a fare la vamp dietro la ricrescita nera dei suoi capelli ossigenati e si crogiola sotto il fuoco della contraerea di flash che la ritraggono persino al seggio elettorale? Ma poi, dico io c’era proprio bisogno di “photoshopparle” ‘ste maledette fotografie?



Va bene, voi in Italia avete votato, io no. Per problemi tecnici ovviamente (ambasciata, documenti, etc. etc.), ma se vi chiedete per chi avrei votato la risposta è semplice: per nessuno. Scheda nulla, nemmeno bianca perché sono sicuro che qualcuno nel seggio o da qualche altra parte un segnetto ce lo può anche mettere. Perché? È semplice non mi sento rappresentato da nessuno nel panorama politico odierno. Tralascio la destra perché non mi è mai appartenuta e non mi apparterrà mai. Avrei dovuto votare la Lega che nonostante sia entrata nelle fabbriche come fece a suo tempo il PCI mantiene la sua deriva xenofoba e squadrista? A parte Silvio che è un caso a sé, come si fa a farsi rappresentare da gente come Cicchitto, Bocchino, da un saltimbanco voltagabbana come CAPEZZONE che da laico ultraradicale è passato a portavoce ufficiale del PDL. Mentre nel 2004 inveiva contro il Papa, la Binetti e l’aborto, adesso difende le parole che il Santo Padre ha proferito in Africa sul preservativo. Almeno Dini dopo avere fatto cadere Prodi ed essersi fatto rieleggere tra le file del PDL non si è più fatto né vedere né sentire. Mi stupisco che non si sia candidato con l’UDC, partito paladino della cristianità con a capo un divorziato che candida il credibilissimo Emanuele Filiberto.
Non avrei votato nemmeno per il PD: è un partito senza identità che non è in grado nemmeno decidere di quale gruppo del Parlamento Europeo fare parte; in cui si vocifera di dare spazio ai giovani, ma che in realtà è ancora gestito dai soliti ignoti, D’Alema, che nel momento in cui c’erano da risparmiare ben 400 milioni di euro accorpando due votazioni si è espresso contrariamente. Il progetto è fallito nel momento in cui si sono volute unire due realtà, quella post-comunista dei DS e post-democristiana della Margherita, che non potranno mai convivere se non al prezzo di rinnovare completamente la classe dirigente che porti idee che siano sì nuove, ma anche condivise all’interno del partito.



Se il comunismo è fallito con il crollo dell’URSS ed il capitalismo ha dimostrato il suo fallimento con il recente Credit Crunch, bisogna trovare altre vie. Anche se i governi di ogni dove sono costretti ad un pesante intervento dello stato nell’economia (Obama docet) è assurdo ancora oggi pensare al vecchio concetto di lotta di classe (per lo meno nel ricco “nord” del mondo), eppure la sinistra radicale è ancora contro tutti, contro tutto, anche contro se stessa frammentandosi in mille partiti solo per avere una seggiola in parlamento. Certo perché è solo questo a cui anche loro puntano, lo ha dimostrato la lotta interna a Rifondazione comunista di circa un anno fa in cui in un partito che aveva raggiunto a stento il 3% dei voti si sono denunciati brogli interni nella sfida tra Vendola e Ferrero. Se fossi morto, vi giuro, mi rivolterei nella tomba.
E del buon Di Pietro non si dice nulla? Ha il merito di avere fatto una opposizione più concreta di quella di Veltroni, il demerito di avere fatto eleggere un certo Sergio De Gregorio (indipendente = accaparrarsi voti) che ha contribuito alla caduta dell’ultimo Governo Prodi, ma un partito che si fonda sull’odio verso il premier non ha né storia, né futuro.


Ed ora a due mesi dal terremoto in Abruzzo, capitato per sbaglio in piena campagna elettorale, nessuno ha avuto il coraggio di proporre di devolvere l’intero 8 per mille alla ricostruzione piuttosto che riservarlo ai credi religiosi (nel 2008 si sono contati più di mille milioni di euro).
Intanto i telegiornali tacciono e gli Aquilani soffrono il freddo di notte ed il caldo di giorno rinchiusi nelle tende della protezione Civile.


Mentre c’è ancora chi crede che ci vorrebbe un uomo forte, i Socialisti crollano nell’intera Europa: è iniziato un nuovo Ventennio?


"Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave". Francesco Saverio Borrelli - Inaugurazione dell'anno giudiziario, 12 gennaio del 2002.

Monday, April 27, 2009

Anche i duri piangono


Correva l'anno 1993 ed io ero un bimbo tanto intelligente e simpatico (ed alquanto obeso) che frequentava la quinta elementare. Erano da poco passati gli anni ottanta, i giovani portavano i jeans a zampa con la bandana cucita in fondo, era l’epoca dei paninari, del Ragazzo Fortunato Jovanotti che non si annoiava mai, i tempi degli 883 con ancora Mauro Repetto e le canzoni che hanno segnato un’epoca ed una generazione. A quel tempo impazzivo per la TV, la guardavo tante ore al giorno, stando impalato davanti ai cartoni animati. Facevo vagare la mia fantasia oltre ogni limite: un giorno ero Actarus e pilotavo Goldrake contro Vega, un altro ero Gigi la trottola alla ricerca di bianche mutandine (in pochi lo sanno o se lo rammentano, ma ai tempi d’oro della scuola materna tutte le bambine mi venivano dietro. Da non credere eh?), un terzo ero nei panni di Pegasus a sparare Fulmini a destra ed a manca lasciando qualche tumefazione intorno agli occhi di ignari ed epistassici amichetti nel ruolo del povero(a) Andromeda. Anche se sono sicuro che qualcuno può pensare che in altre circostanze avrei potuto personificare Mila Azuki, Mimì Ayuhara o Holly e Benji che sarebbe stata la cosa peggiore visto quanto odio il calcio. Alla veneranda età di dieci anni avevo già visto tutto quello che la televisione italiana aveva da offrire sui mitici Cavalieri di Athena, rosicando all’infinito quando al termine della prima serie la storia rimaneva inconclusa alla casa del Leone. Giocavo con i miei amichetti a cavaliere buono-cavaliere cattivo parafrasando il pietosissimo italiano arcaico usato dagli autori dei dialoghi. Avevo perfino i personaggi di plastica vestiti delle loro armature di metallo estremamente tossico già Made in China. Peccato che tutto ciò non fosse proprio abbastanza per i nostri cervelletti ed, in un freddo e piovoso giorno di Novembre, scoprimmo la vera origine del nostro cartone animato preferito: il MANGA... Quel giorno impegnai quasi tutta la mia paghetta settimanale (che hai tempi consisteva in uno di quei fantastici biglietti verdi da CINQUEMILA lire) per comprare il mitico numero 27 di “Saint Seiya”.



Io ed i miei amici impazzimmo totalmente, non solo per il manga in se che facevamo fotocopiare ai nostri genitori creando gigantografie formato A3 che coloravamo con matite e pastelli per buona parte delle nostre ore di scuola elementare, ma anche perché scoprimmo che la TV non ci aveva dato tutto: mancava il capitolo finale, la guerra sacra tra Athena ed Ades, una lacuna che solo il manga poteva colmare! Passarono i mesi e gli anni ed i pochi numeri dei Cavalieri rimasero un dolce ricordo posato in bella mostra sulla mensola nella mia camera. Infatti la serie fu edita da una casa editrice bolognese fallita poco tempo dopo ed io rimasi in possesso di solo una decina di albi, i 30 mancanti sono rimasti pressoché introvabili, almeno fino all’avvento di Ebay. Finalmente qualche mese fa ho trovato l’offerta perfetta per la mia collezione ad un prezzo che è meglio non dire (70 euri n.d.r.) e sono riuscito ad avere tutti i numeri della prima edizione. Ho finalmente potuto leggere la storia originale. La prima volta che l’ho letta avevo lo stesso spirito di quindici anni or sono e mi sono sentito di nuovo bambino, affascinato dalle armature luccicanti, dalla storia avvincente e dai personaggi che sono stati i miei eroi per anni :D
Poi però ho riletto l’intera storia con l’occhio critico di un ingegnere venticinquenne, e questa è stata la rovina dei mitici eroi. La storia in se non è malvagia, queste armature mitiche sono una bella idea, ognuna associata ad una costellazione, gli antichi dei greci, la mitologia... Tante belle cose certo, forse troppe però. Si parte dalla mitologia, si passa all'universo, agli atomi, alla velocità del suono, a quella della luce al sesto senso, al settimo e pure all'ottavo nell'ultima serie. Senza contare il fatto che in nessun paese civilizzato una fantomatica fondazione benefica può rapire cento (si, si proprio 100) orfanelli, recluderli in un recinto elettrificato per poi mandarli in giro per il mondo a combattere ed a rischiare la vita per partecipare (armatura compresa) ad un torneo all'ultimo sangue che si è visto solo in qualche squallidissimo film di Van Damme. L'apice della indecenza si raggiunge nell'ultimo episodio, quello contro il Dio della morte, un tale Ades che assomiglia molto al demonio se non fosse che è molto più effemminato. Il buon Seiya (detto Pegasus dalla censura occidentale) ed i suoi degni compari di bevute si buttano in una parodia dell'inferno dantesco che non è nient'altro che un penosissimo mix di credenze e culture. Se ne deduce che gli ingredienti per un inferno giapponese siano: qualche girone dantesco compresa la scritta "lasciate ogni speranza voi che entrate" e pena del contrappasso compresa; qualcosa relativo agli antichi egizi con un cavaliere con l'armatura da sfinge e il caschetto stile Freddie Mercury dei tempi migliori; un fantomatico muro del pianto; il paradiso terrestre detto Eliseo; un paio di Dei minori; Cerbero, Caronte e compagnia bella; qualche riferimento al Budda.
Mettete tutto nel minipimer e frullate per un paio di orette, lasciate decantare per un paio di mesi e al’ultimo aggiungete il sangue di un bambino felice (a litri se è possibile) ed ecco il vostro inferno con gli occhi a mandorla.
Senza contare che, insomma, in un mondo pieno di armi automatiche, testate atomiche, preservativi profumati, questi vanno ancora in giro ad ammazzare la gente a pugni e calci manco fossero i peggio gabber dell’area milanese. Mi pare un po’ forzato....
Ricordo che quando ero piccolo compravo i manga soprattutto perché mi piacevano i disegni (e si fotta la storia, quella la si legge nei libri), ma quando ho preso in mano il mitico Numero Uno mi sono accorto che il buon Masami Kurumada, quando ha iniziato a disegnare la serie, aveva il senso delle proporzioni di un bambino di seconda media. Personaggi dalla testa grossissima rispetto al corpo, le braccine corte, le gambe pure... Quasi dei Super-Deformed. Insomma guardate le dimensioni della testa di Seiya dall'ultimo numero al primo...



Inoltre... Non so come dirlo... Il mito è crollato quando ho realizzato il fatto che loro PIANGONO SEMPRE.

Da eroi tutto d’un pezzo, a campioni di lacrime versate a litri non appena qualcuno fa qualcosa. Mi viene il dubbio: non è che siano emo? No, dico, ‘sti cavalieri si picchiano, si tagliano, si accecano volontariamente, si suicidano, si pugnalano, si sventrano... Non oso immaginare a quali festini fetish partecipino nella vita privata. Sarà per questo che sono diventati una icona ghei? Tanto per la cronaca, Shun (Andromeda) non lo era affatto, né tantomeno una transgender stile Lady Oscar.
Ma in fondo i Cavalieri non li posso che assolvere da tutti i loro peccati. Seguendo la via del perdono farò finta di non avere visto tutte queste baggianate e li ringrazio. Li ringrazio per avermi permesso di vagare con la fantasia per tanti anni della mia vita, per avermi dato un po’ di motivazione nello studiare la storia, per avermi insegnato a guardare verso il le stelle con tanta curiosità in più. È grazie a loro che ogni volta che guardo le stelle vorrei toccare l’infinito.



La domanda però nasce spontanea: Pegasus avrà mai dato due botte a Lady Isabel?


P.S. E per chi volesse sapere come finisce: Pegasus muore e Castalia non è sua sorella. :D




La paura fa parte della nostra vita,della sola vita che abbiamo. Ti ci abitui e dopo averla indossata ogni mattina come una vecchia camicia, non la noti neanche più.

Monday, March 02, 2009

Twilight



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ATTENZIONE
QUESTO POST POTREBBE
CONTENERE DEGLI SPOILER
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Visto il recente clamore che il film “Twilight” a suscitato nei teenagers di mezzo mondo, ed essendo io ancora un teenager nel profondo, non potevo proprio esimermi dal leggere il romanzo su cui si basa appunto questa trasposizione cinematografica.
Sin dal primo capitolo si evince che siamo al livello degli “Harmony”, della rivista “Confidenze” o di “Amici di Maria De Filippi”. La scrittura in prima persona, la tipica ragazzina media americana con genitori separati, un preludio di poche righe che tenta di anticipare quello che succederà alla fine del libro (rovinando anche “l’effetto che fa” come direbbe Iannacci). Tutte cose che fanno decadere esponenzialmente la mia voglia di leggere, purtroppo avendo visto che si componeva di sole 320 pagine ho deciso di portare a termine l’ardua impresa.
Forse forse qualcosa riesco a salvare, rovistando nel mucchio: magari il fatto che i vampiri siano belli da fare schifo e grazie a ciò riescano ad ammaliare le loro vittime, che cambi il colore degli occhi quando sono assetati di sangue o che volendo si possano nutrire di sangue non umano. Si, direi che sono concetti salvabili per un romanzo di fantascienza. Però... È la storia in se che non sta in piedi. Se la protagonista si potesse definire goffa sarebbe un bell’eufemismo: l’autrice la presenta come goffa scoordinata, cade ogni due per tre, sta male in macchina in aereo, sui pattini, in bicicletta e sul cesso anche mentre fa la cacca; ha 17 anni, forse 18, dopo avere conosciuto da tre giorni il vampiro di turno irresistibilmente bello gli grida ti amo in ogni lingua conosciuta (e qui mi chiedo che concezione di amore abbia la nostra autrice). Certo che lui non si tira indietro, anch’egli è innamorato perso, ma credo nello stesso modo in cui io sono innamorato di una cotoletta alla milanese. Insomma ricapitolando lei ama lui perché è un figo di Dio e lui ama lei dal punto di vista culinario del termine, perché ha un profumo, direi un aroma, che gli fa letteralmente venire l’acquolina in bocca e le succhierebbe il sangue fino all’ultima goccia.
Ma questo non è il peggio. Il peggio è come è scritto. Probabilmente alla sua prima esperienza come scrittrice, la signora Meyer, di cui qui di seguito c’è una delle sue foto migliori (è proprio lei),

si è dimenticata di comprare il dizionario dei sinonimi e contrari. Dopo un paio di capitoli ti rigirano nella testa alcune locuzioni continuamente ripetute lungo tutto il libro:
“Espressione neutra.”
“La sua espressione era indecifrabile.”
“Un'espressione che non riuscivo ad interpretare.”
“Studiai la sua espressione nel tentativo di leggerla.”
“La sua espressione era illeggibile.”
“Non riuscivo a leggere la tua espressione.”
“La sua espressione era impenetrabile.”
“Cercò di decifrare la mia espressione.”
E fu così che questo romanzo raggiunse il record storico di 102 parole “espressione” cui ben 8 “espressioni indecifrabili”, 3 espressioni “neutre” così come “illeggibili” e per finire la “espressione impenetrabile” sempre con 3 voci che si piazza all’ultimo posto perché questa espressione (ecco, ha contagiato anche me) non vuole dire assolutamente un tubo.
I casi cono due, o la protagonista è talmente idiota da non riuscire a decifrare le espressioni della gente che le sta attorno, oppure l’autrice deficita in quanto a fantasia, creatività , basi di lingua, coordinazione, elasticità ed anche di emoglobina. Cribbio, il festival della neutralità, l’avanspettacolo della inespressività, il preludio alle avventure indecifrabili di una ragazza sedicenne che presa da una cotta adolescenziale grida ti amo a tutti i vampiri che incontra. Futurama Docet.



E dove stanno le buone vecchie leggende che hanno accompagnato i vampiri nel loro peregrinare nei secoli per il nostro mondo? Non hanno più paura delle croci, non si sciolgono con l'acqua santa (ma credo che quella irriti anche me) e le bare, l’aglio, gli specchi senza riflesso, l’ustionante luce solare, la nebbiolina o i pipistrelli in cui si dovrebbero trasformare; insomma "Dal tramonto all'alba" non ci ha proprio insegnato niente oltre che lo stesso attore può essere usato in almeno 5 parti diverse dello stesso film?
Inoltre... Io mi metto nei panni della povera protagonista, costretta a limonare con un boyfriend a temperatura ambiente. Vorrei vedere voi a ficcare la lingua in bocca ad un partner con il calore di un armadio a muro. E l'atto sessuale in sé? Nel libro dice chiaramente che è possibile, a parte il fatto che se il cuore si è fermato, qualcuno mi spieghi come cavolo si potrebbe riuscire a pompare sangue nei corpi cavernosi del pene: “Cara scusa mi stai eccitando, mi fai un bel massaggio cardiaco che poi sbrighiamo la faccendina?”. E poi rimane il fatto della temperatura corporea... Certo, lei si può sempre esercitare con un vibratore lasciato qualche ora nel frigorifero, oppure può benissimo lasciare a rosolare il vampirello su un termosifone per una decina di minuti, dare due pompate (al cuore) e tentare di raggiungere l’orgasmo prima che si raffreddi. Altro che necrofilia.

Giudizio finale? Un romanzo per bimbeminkia (si, si scrive così)

P.S. per chi volesse avere una visione più chiara anche sul film di “Twilight” consiglio caldamente il blog di Chiara. ^^



"And even when your hope is gone, move along, move along just to make it through..."

Friday, February 13, 2009

Istruzioni per l'uso


Benché il titolo del post possa fare pensare all'odiosissima trasmissione di Radiouno tenuta da quella pseudo-giornalista "difenditrice" di consumatori della Falcetti (della quale mi irrita tutto, dalla frangetta ridicola che si trascina da anni, agli occhiali con una montatura del '38, alla voce latrante), ho recentemente scoperto in rete che esiste uno strumento più utile di Wikipedia: il DEMOTIVATOR (detto anche Demotivational Poster).
Esso è composto da un immagine, che di solito contiene molto più di mille parole, della quale per qualche oscuro motivo non cogliamo l'esatto significato. A causa di ciò il creatore del Demotivator introduce una breve didascalia che contiene un insegnamento. A volte la verità è sotto i nostri occhi, è solo che non riusciamo a vederla. Come in questo caso:







A volte ti forniscono delle definizioni veritiere a concetti fondamentali e difficili da comprendere, dei quali tu avevi comunque una idea sbagliata:























La cosa bella è che offrono sempre validi consigli:











Il punto è che questi aggeggi soprattutto ti DEMOTIVANO, sempre e comunque. Esempio tipico sono quelli a tema Jailbait (non li inserisco perché ho ancora una morale) che hanno il potere di fare rosicare qualunque maschio che li veda. Il tema religioso rimane comunque il mio preferito, non vi era dubbio alcuno.














Vediamo se sono bravo anche io a farne uno di questi cosi.....
Ovviamente non posso che dedicarlo alla mia trasmissione radiofonica preferita, proprio “Istruzioni per l’uso” che va in onda dalle 06:13 alle 06:49 su Radiouno e, purtroppo per me, fino alle 7 anche su Raitre. Ogni mattina, dovete sapere, mi alzo ed accendo la tv, mentre faccio colazione, su Rainews 24 dove mi piacerebbe tanto leggere in santa pace le notizie che scorrono sullo schermo. Invece no! Mi squittisce nella testa la voce della Falcetti che si aggancia alla cronaca (nera) del giorno prima per darci delle istruzioni per l’uso “dalla parte del consumatore”. Ok, mi va bene che per consumatore consideri anche il povero cristo che vuole andare in camporella, ma non sembra un po’ idiota dirgli che rischia una incriminazione per atti osceni in luogo pubblico? Al massimo concedo di dire come si mette un preservativo oppure la spirale... Insomma:





P.S. Il sito più fornito di Demotivator che ho rintracciato è:
www.forumammo.com.

Magari trovate qualcosa di bello, magari da appendere davanti alla scrivania per fare capire al vostro capo che il lavoro che fate vi fa letteralmente cagare e che sarebbe il caso che ogni tanto ti possa fare la cortesia di tacere.


"I got wiring loose inside my head


I got books that I never ever read


I got secrets in my garden shed


I got a scar where all my urges bled


I got people underneath my bed


I got a place where all my dreams are dead


Swim with me into your blackest eyes"