Ho deciso di raccontarvi una storia. Come tutte le storie che si rispettino inizia con un bel “C’era una volta...”
C’era una volta un Bambino Grasso ed ingenuo, ma talmente ingenuo da non sapere ancora di essere né grasso né tantomeno ingenuo, infatti oltre ad essere di una magrezza quasi impressionante, si destreggiava spigliatamente tra le sue coetanee, facendo stragi di cuori e mattanze di occhi da cerbiatto. Essendo un bambino, e non avendo ancora avuto le turbe psichiche dell’adolescenza, degli ormoni, delle ragazze e tutto il resto, non lo si poteva affatto considerare affetto da un qualche disturbo dell’alimentazione: mangiava abbondantemente, beveva quanto bastava, faceva la cacca regolarmente, ma non riusciva a fare accrescere quello strato adiposo che alcuni suoi coetanei cullavano così dolcemente. Non che a lui importasse gran ché, ma il ciccione nascosto dentro di lui scalpitava e impazziva dal dolore, sbraitava e imprecava (acciderboline e ciribiricolccole) bramando un giorno di riuscire a conquistare la libertà di quel corpo pelle ed ossa. Erano gli anni ottanta, la seconda metà, quando il mondo era ancora diviso tra buoni e cattivi e nonostante non si sapesse con chiarezza distinguere quali fossero (i buoni ed i cattivi intendo), gli schermi televisivi più convessi che mai mandavano in onda sogni in forma di cartoni animati giapponesi, la Commodore spopolava con il suo 64 e con un Amiga che ai ventiseienni di oggi ha insegnato l’assuefazione per l’informatica e l’amore per la tecnologia. Le giornate scorrevano lunghe e senza fine, le settimane duravano mesi per poi tramutarsi in battiti di ciglia quando ci si fermava a riosservarle. D’Autunno si sognava con ansia un Natale finalmente nevoso e per tutto il resto dell’anno quelle quattro settimane di oratorio estivo erano l’unica meta agognata, dove il tempo per la noia era così risicato che con quella banconota con il volto di Galileo datati da tua madre la mattina, si poteva comprare un gelato e venti caramelle o spenderla tutta in cicche, per trovare le figurine mancanti di Poggi e Volpi che nessuno aveva mai nemmeno visto lontanamente con il binocolo.
Intanto il ciccione che è in ogni individuo, si anche in voi, si dimenava: “Perché mangi tutte quelle caramelle e merendine e non mi concedi la libertà?” ma il Bambino Grasso Che Non Sapeva Ancora Di Esserlo non lo ascoltava, anzi non lo sentiva nemmeno, talmente si crogiolava nel suo autocompiacimento dell’essere smilzo.
Passò qualche anno che il Bambino Non Ancora Grasso trascorse tra alti e bassi, lunghi e stretti, spessi e sottili, senza mai ascoltare il ciccione che era in lui, non dandogli la minima chance, la minima aspettativa, la minima briciola di pasticcino.
Fu così che una sera, dopo l’ennesima iniezione di penicillina in una partita contro gli Orecchioni vinta in extremis per 2 a 1 con un calcio piazzato allo scadere, il ciccione prese il controllo: la guardia era abbassata, il Bambino Magro era spossato per la malattia o semplicemente pensava per un momento a quanto era bella la vita da non-grasso facendo progetti per tentare di conquistare il mondo. Il Ciccione, con un’abile e scattante manovra indegna dei suoi quasi 100 chili, relegò il Bambino Magro nel suo più profondo subconscio, incominciando a ingurgitare tonnellate di merendine del Mulino Bianco, quintali di Nutella, chili e chili di pattume, perdendo interesse per le bambine, lo sport e quasi tutte le relazioni interpersonali. Il dominio incontrastato di questo despota adiposo ebbe in questo modo inizio. Vorrei poter dire che il Bambino Magro fosse in qualche modo consapevole del suo stato di “non essere più”, ma la prigionia, insieme ai troppi zuccheri fagocitati, mandano il cervello in pappe, il pancreas al creatore e nemmeno la consapevolezza di avere le tettine poteva smuoverlo dal suo torpore. Ai primi giorni seguirono i primi mesi come ai grammi seguirono i chili di sovrappeso; con il passare degli anni i colori della vita sbiadirono intorno a lui: tutte le sfumature del rosso e del giallo persero calore, il blu e l’indaco si tramutarono presto in cineree alterazioni di quello che erano stati un tempo; quando anche il verde e l’arancione persero il loro significato di esistere, al Bambino Grasso non rimasero altro che il bianco ed il nero. Ormai il numero dei menti somigliava sempre più alle pieghe di una fisarmonica; l’addome, ormai simile a quello dell’omino Michelin, cascava sopra dei pantaloni larghi abbastanza per farci entrare il proprio padre; la schiena si incurvava e le ginocchia faticavano a reggere cotanto peso adattandosi in pieghe malsane.
A sua discolpa, Sua Grossezza il Lord dei Prosciutti non era del tutto stupido, anzi era ai livelli di intelligenza del suo prigioniero sottopeso; era curioso, imparava alla svelta e faceva galoppare la fantasia ad una velocità impressionante. Forse è per questo motivo che il suo dominio incontrastato durò così a lungo, è risaputo infatti che nessun sovrano mantiene il potere senza una buona dose di arguzia, intelligenza, sprezzo del pericolo e una scorta semi infinita di Tegolini del Mulino Bianco. Il suo impero infatti passò indenne attraverso i moti rivoluzionari della Pubertà, i sussulti della prima Adolescenza, tenendosi ben lontano dalle delusioni amorose, dalle ragazze ed a volte anche dagli amici con l’unico fine di preservare il potere.
Una sera però, il vento cambiò. Ed esso non portava più con se né le fragranze della giovinezza, né i sapori del cibo ipercalorico, ma solo una nuova brezza di consapevolezza recondita e nascosta e repressa che raggiunse le oscure segrete in cui il povero Bambino Magro era rimasto rinchiuso per più di dieci anni. Il vento porta sempre con se un consiglio, per chi lo sta ad ascoltare, che sia un “mettiti il cappello che fa un freddo gatto” o “metti in piedi una Rivoluzione d’Ottobre”, poco importa. Sta di fatto che durante quella notte, il nostro eroe fuggì dalle segrete in cui per più di un decennio era rimasto rinchiuso. È una storia emozionante, ricca di colpi di scena, un paio di flashback, il maggiordomo immancabilmente colpevole ed un finale a sorpresa che coinvolge un prete, un viados ed il Governo Cantonale Svizzero, ma non è questo né il luogo, né il tempo per raccontarla.
Era ormai mattina quando, sfruttando le eccessive attenzioni di una guardia obesa per il proprio rumoroso deretano, quell’individuo che era stato il Bambino Magro si intrufolò nella sala del trono. Nascosto dietro i sontuosi tendaggi, passando accanto ad arazzi variopinti e quadri di vecchi canuti, poteva intravedere il monarca curvo sotto il peso dei suoi chili e spossato dal troppo cibo fagocitato. Gli occhi erano ancora vispi e sognanti, ma lo sguardo non sembrava felice né famelico, solo stanco, e quando incrociò quello del Magro Che Era Stato Un Bambino, con un sorriso sulle labbra Messer Porcello si dissolse in una grassissima bolla di sapone, lasciando dietro di se null’altro che un olezzo di strutto. Ed il Ragazzo Magro capì. Capì che il Grassone era sempre stato dentro di lui, che non erano nient’altro che la doppia faccia della stessa medaglia,la stessa metà di pandoro, i due culi dello stesso salame e che nessuno dei due poteva vivere senza l’altro in una eterna alternanza, in un eterno braccio di ferro tra bene e male, tra libertà dalle calorie e schiavitù dei dolci, tra obesità ed anoressia.
Ancora oggi l’Uomo Magro vive felice della sua magrezza, senza mai dimenticare quello che fu venticinque chili or sono, senza perdonare il bambino Grasso per avere, in un giorno così lontano, preso il controllo della sua vita. Senza perdonarlo per avergli fatto rimpiangere gli anni sprecati o rimordere le occasioni perdute, colui che fu il Bambino Magro ogni tanto, oggi, permette al grassone che è in lui di spassarsela per qualche minuto con un po’ di cioccolata o una scorpacciata di pane e formaggio, ed è ancora alla ricerca di una Donna che magari possa condividere con lui i ricordi di una infanzia trascorsa da Bambina Grassa.
Non possiamo salvare nessuno da se stesso.